Dopo aver esordito nel 2012 con il lavoro strumentale Where The Words End, che ha svelato le sue straordinarie capacità armonico/melodiche, il ventitreenne chitarrista veronese Zak Hinegk, si ripresenta al pubblico con un album, non me ne voglia male, significativamente più completo e più maturo. Cresciuto musicalmente a pane, Albert King e Jimi Hendrix, con Soul Remedy Hinegk compie effettivamente un vero e proprio salto di qualità, trascendendo le proprie origini.
Uscito sia in formato digitale che in Ep, il nuovo disco unisce e consolida molte delle influenze musicali che hanno caratterizzato l’artista veronese sin dai tempi liceali. Sopra un tessuto armonico che coerentemente danza tra il jazz fusion e la funky, in perfetto stile di fine anni ’70, il quartetto di Hinegk riesce a disegnare dei percorsi melodici e timbrici che conferiscono al lavoro un senso spiccatamente moderno, una sorta di connubio tra i Weather Report e i Brother Strut. Come è stato scritto precedentemente, la completezza e la maturità musicale sono le caratteristiche principali che fuoriescono da un primo ascolto dell’album. Oltre all’inserimento di un’importante sezione di fiati, la vocalità diventa un elemento portante dell’intero lavoro, dando a quest’ultimo un accento volutamente Joss Stoniano. Per fare questo il chitarrista veronese si è avvalso della collaborazione di autorevoli personalità della scena jazz regionale quali Chiara Gallana, Enrico Nordio e Marina Santelli, con la quale ha già avuto interessanti collaborazioni.
La solidità e la coerenza ritmica dell’album sono da attribuire alla chitarra dell’amico Leonardo Zago, al basso di Marco Bosco, alla batteria del più che promettente Riccardo Vilio di Andrea Oboe nei primi due brani, alla tromba di Fabio Bau e alle tastiere di Max Cavallari. “The last but not the least” come direbbero gli inglesi, é doveroso citare Stefano Ferracin, per l’importante e prezioso lavoro svolto dietro il tavolo da mixaggio.
(Alessandro Albano)
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