È difficile seguirli su di una traiettoria ben definita, possiamo utilizzare magari il logos beat pop giusto per dargli una connotazione “indefinita”, ma quello che i lucchesi Q-Yes vogliono rappresentare è ben altro, una “connessione” in cortocircuito che divora nelle sue storie pop, elettricità, effluvi anni Sessanta e sperimentazione naif, vintage beatnik e quell’universo “off” che satellita diabolicamente menefreghista tra valvolari sensazioni e contemporanei campionatori.
Generazione Y è il loro cinque tracce che – dal packaging – già fa presagire “stramberie” di gamma, e come non detto ecco che da sotto il lettore ottico fuoriescono suoni, storie, shake, frame e stimolazioni a ballare come se si fosse dentro una bolla di acido lisergico multicolor, di quello che ti colora anima & neuroni in maniera indelebile, a prova di “fantastico tutto”. Ovviamente estro scapigliato, interpretazione informale e una miscela di suoni e parole che –come in un gioco di prestigio – riescono ad infilarsi nell’ascolto garantendo un piacere assoluto, un disco di quelli popular che azzardano con coerenza vinta la scommessa di sbaragliare l’indie nerdy d’intorno con la facilità della schiettezza, e lo fanno alla grande e con lode.
Tre tracce su cinque, le luci stroboscopiche che fanno occhiolino fitto in “Margherita”, l’andazzo latin strombazzato e Santaniano “Rivoluzionari da bar” e la coralità speranzosa alla Manu Chao de noantri “L’ultima chance”, bastano anche solo queste tre per decretare la vera grandezza di questa giovane formazione dinamica, pulsante, nervosa, amabile, vitale, spavalda e vergognosamente figa e non prona al mercato delle vanità modaiole. Da tenere strettamente tra le cose più “ganze” arrivate dall’underground tricolore.
(Max Sannella)