In un quotidiano terribilmente volgare e colmo di angherie dall’alto verso il basso – ma mettiamoci oramai anche dal fianco – c’è ancora chi non vuole sapere di stare al gioco sporco preferendo “ergersi contro” digrignando denti e musica. I romani Luminal tornano ad urlare pensieri e timbriche con Acqua azzurra, Totò Riina, quattordici tracce che scavano nel vuoto del malessere sociale, intimo e d’altro, manifestando con tensioni elettriche e quadre soniche d’attacco la propria integrità artistica, il proprio rigurgito off.
Musica a contrasto, a zeppa contro le linearità e anche territorio in cui Alessandra Perna e Carlo Martinelli martellano idee, visioni e schizofrenie con fare mai costruito, piuttosto istintivo, inarrendevole, una macchina da guerra pensante e apocalittica, teatralmente sperimentale. Lavoro di certo non fruibile di primo acchito, e forse nemmeno dopo il quinto tentativo, ma poi una volta sciolta la matassa di concettualità ermetica ci si entra, pian pianino con lo stesso effetto fisico di un ago di siringa nelle vene.
Un ascolto che è poi una lastra di vetro tagliente, con molte affinità verso certi Wolfango o Disciplinatha di primo pelo, brani obliqui e lancinanti atmosfere come il bardo ossessivo di “L’operaio della Fiat II vendetta”, l’industrial punk-noise che percuote “Ammazza i tuoi idoli”, “I bambini sono a scuola”, “Al settimo cielo”, un Rino Gaetano allucinato “Correre nel buio ” per arrivare nel delirio vocale in solitaria nel minuto e quarantacinque circa di “C’è solo un modo di imparare”, il cameo nero che chiude l’album lasciando l’orecchio orfano di un marasma anarchico e opaco di ottima spregiudicatezza. Luminal, l’istinto capovolto della semplicità.
(Max Sannella)
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