Ho deciso di ascoltare questo EP di 6 pezzi tutto d’un fiato, senza leggere nulla di ciò che si nasconde dietro al nome Bewider, senza neanche guardare i titoli dei brani: solo ascoltare, senza filtro e senza distrazioni. Di solito ho bisogno di tempo perché la musica mi entri dentro; è capitato che produzioni sulle prime poco convincenti si sono poi rivelate di alto livello e hanno suscitato un coinvolgimento profondo e totale… succede come quando un fiore sboccia, un petalo alla volta, fino a che si dischiude completamente.
A volte invece capita che le note che scorrono mi lasciano un segno indelebile fin da subito, ma di solito accade con band già affermate, che magari seguo da tempo e per le quali, in qualche modo, ho un’aspettativa elevata, una sorta di pregiudizio all’incontrario. Quando questa aspettativa trova conferma, il disco gira su iTunes senza sosta e, già dopo pochi ascolti, diventa uno dei motivi per cui non mi arrabbio al suono della sveglia al mattino. Devo dire che raramente mi succede di restare così intrigata da un lavoro di debutto, che di solito, proprio perché di debutto si parla, ha bisogno di rodaggio, di oliare meccanismi, di raffinare i processi. E quindi il fatto che questo A place to be safe rientri decisamente nella seconda categoria mi sorprende e mi delizia allo stesso tempo. Attraente, suadente, elegante, misurato, colto, mi ha catturato fin da subito. Note biografiche obbligatorie a questo punto, per dare merito a Piernicola Di Muro – colui che si cela dietro al nome di questo progetto musicale, già compositore di colonne sonore cinematografiche e di documentari – dell’ottimo lavoro svolto, tanto che se dovessi usare una metafora sportiva mi verrebbe in mente il tiro con l’arco: centro al primo colpo.
Impossibile non menzionare le collaborazioni prestigiose, che danno lustro, non solo simbolico, a “A Place To Be Safe”: l’ottima vocalist Francesca Amati, presente in “Following the River Flow” (elettronica delicata da far invidia ai Lamb) e “Therapy” (ciberneticamente orchestrale, dove l’ambient si incontra con ottoni e trombe), Jester at Work, voce nella MassiveAttackiana “Distress”, le strumentali “Chrome” e “Love Mechanics”, che riescono ad essere lievi e possenti al tempo stesso e che rappresentano la cifra stilistica dell’autore, incisivo e personale fino alla conclusiva “The Opening Path” dove, come in un film che si rispetti, il finale rimanda alle origini, quelle colonne sonore nelle quali Di Muro ha esordito e con le quali è artisticamente cresciuto, arricchita dalla maestosa presenza dell’Orchestra di Brandeburgo.
(Patrizia Lazzari)
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