La musica occitana, diffusasi coi trovatori del basso medioevo dalla Francia meridionale a tutto il Nord Italia, gode ancora particolarmente in Piemonte e in Val d’Aosta di seguito e attenzione, di scuole e di rimandi, procurandosi occasioni in feste tradizionali e festival. Nella stessa Torino ogni primo mercoledì del mese il ballo tradizionale invade il centro, Piazza Carlo Alberto, e sorprende la massiccia presenza di giovani affascinati dalle movenze e dai ritmi degli avi. Dal dopoguerra sono arrivati alla notorietà decine di formazioni di revival e contaminazione, fino agli attenti anni 70, consentendo anche quel lavoro certosino di ricerca e documentazione che ha consentito di fissare su nastro canti rari e varianti di ballo altrimenti destinati all’oblio. Cito in disordine Donata Pinti, Ariondela, Lou Dalfin, La Lionetta, Canto Vivo, Ciapa Rusa, Ariondassa, Compania di Musicant d’Alba.
Da Boves, Bueves in occitano, arrivano al disco d’esordio i due fratelli Bottasso, e che esordio. Anni e anni di studio attento, continua ricerca, profonda passione e una curiosità illimitata hanno condotto questi due baldi all’elaborazione di un progetto sonoro originale, ricco, maturo, capace di amalgamare con raro equilibrio, in 9 composizioni sorprendenti, tanto le radici di un territorio che non ha mai dimenticato la grande tradizione ancora viva e partecipata, quanto le influenze e le modalità migliori dall’immenso magma musicale che la globalizzazione mette a portata di orecchie. Simone e Nicolò, rispettivamente all’organetto e al violino, ma sono diplomati anche in flauto e tromba, hanno un curriculum enorme, ingrossato via via da esperienze e collaborazioni sostanziali, all’estero e in Italia, da Marc Perrone a Riccardo Tesi (con Tesi e Filippo Gambetta il trio d’organetto “Triotonico”), da Raphael Maillet a Paolo Fresu, raggiungendo, già prima dell’esordio discografico, alti riconoscimenti professionali e l’elogio strameritato dei grandi. Il tentativo, nobile e riuscito, è stato quello di dare, all’immenso patrimonio tradizionale, ormai affrancato all’oralità, ma certamente cristallizzato nelle sue forme revivalistiche, un nuovo corredo che consentisse nuovi orizzonti musicali, innestando su suoni consueti timbriche originali e stimolanti. Obiettivo raggiunto in pieno. Così l’organetto diatonico e il violino si fondono con l’elettronica e i campionatori, le percussioni brasiliane si affiancano alla voce mirabile di Elena Ledda, la semplicità tradizionale si amalgama alla complessità compositiva jazzistica e l’improvvisazione, il Mediterraneo incontra la Scandinavia, senza assemblaggi posticci, senza forzature, senza eccessi, con semplice poliedrica omogeneità. All’originale gig irlandese “Cosa faresti se non avessi paura?”, rielaborata con loop station e le percussioni di Gilson Silveira, con splendida coda anche vocale, segue “Diatofonia N.7” che vola in Scandinavia con un prototipo di organetto ideato dai due fratelli, e un violino perfettamente amalgamato ai soffi, senza protagonismi. “Reina”, un classico della Val Varaita, è resa splendidamente nella versione in contrafactum in sardo di Elena Ledda, su testo della sorella Maria Gabriella, con Mauro Palmas al liuto cantabile, brano che si adagia magicamente sulla tradizione dell’isola e acquista armoniche cadenze arabe: In cuss’ora di alligria In quel momento d’allegria/De biancu fiat bistia era vestita di bianco/“Bai cun Deus, sa prenda mia “Vai con Dio, gioia mia,/Dònnia beni a ti gosai” ti auguro ogni bene”/Milli arrugas de pigai Mille strade da prendere/pagu vida de lassai poca vita da lasciare/milli istocus de nci cravai mille lame da conficcare/in su petus de mamai nel petto di una madre/Nemus t’at a arregordai Nessuno ti ricorderà/chen’’e alentu po istimai senza coraggio per amare/chen’’e coru’e perdonai senza cuore per perdonare/chen’’e fogu ‘e ingennerai senza fuoco per generare/Peddi lisa e purpurina Pelle di porpora e velluto/a lugori ‘e friscas neas respirerai nuove albe/as a essi in cussas seas sarai in quelle alture/de dònni’ òmini reina di ogni uomo la regina/As a tenni in dònnia terra Avrai in ogni terra/Genti istrangia de imprassai forestieri da abbracciare/E de celu cudda perra e quella metà del cielo/Dd’ as a podi tramudai potrai infine cambiare/Chen’’e tenni timoria Senza avere paura/Sposa noa de àturu rei nuova sposa di un altro re/Chi fieli a un’atra lei che fedele a un’altra legge/T’at a bolli sèmpiri bia. ti vorrà sempre viva.
Tra jazz e folk scorre “Monkerrina”, seguita dalla suite ballabile tradizionale occitana di “Burrèe”, e dal Brasile di “Receita de Samba”. L’ultimo trittico segue un proprio discorso legato al titolo dell’opera, passando dal primo brano in assoluto suonato dai due fratelli, la delicata mazurka “The Rose of Raby / Incantata”, seguita da “Crescendo” bella composizione jazz di Simone per un ensemble di undici elementi, fiati, corde, percussioni e organetto, lirica e complessa, completata da “Magicicada” musica che apre verso nuove ulteriori prospettive musicali, per un viaggio appena iniziato e già così ricco di variazioni, sollecitazioni, richiami, attrazioni.
Il riferimento del titolo è a questo insetto che, dopo aver vissuto 17 anni sotto terra in forma larvale, nel rigoglio dell’estate scopre luce e suoni risalendo le cortecce degli alberi per trasformarsi in cicala. E’ un sotteso augurio, quello di restare sempre curiosi e pronti a una nuova trasformazione, anche quando il tempo monotono sembra negare visioni e possibilità.
(Alberto Marchetti)
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