L’appeal dell’arte musicale di Maria Devigili è dato dalla sua indiscussa agilità nell’incatenare estetiche e generi mai uguali a se stessi, fa scorrere visioni e intellettualità espressive fuori dal comune, un’artista in controtendenza che fluisce eleganza e classe in ogni nota e parola.
La trasformazione è il suo nuovo lavoro discografico, dodici tracce di personalità d’autore coprente che va a comporre una performance iniettata di ballate, folk, retaggi blues, scremature jazzly e filamenti rock, e di conseguenza una tacca di valore in più per chiunque cerca nell’underground “quotato” un motivo di bellezza da possedere tutto suo; la Devigili rimane sempre protetta dentro le sue ermetiche concettualità liriche, filosofeggia, strega, sogna, fa sognare e tesse magie al contrario, teatralità sonore che vanno avanti e che non saranno mai liquidate dal presente. L’artista trentina è una forza di suggestioni, suona la chitarra, il glockenspiel, il sinth e tanto altro, mette in campo beatitudini tutte da ascoltare come l’introspezione bluastra di “Spegnere-gettare”, l’essenzialità mid-latin “Come una formica” (con un diamond di Claudio Lolli che da voce alla poesia “Non chiederci la parola” di Montale), oppure la metafisica giostrata in “L’invisibile è quello che ci sostiene”, lo sfizio bluesy (“Il pasto migliore”), i deliri stratificati (“L’ombra” e “Verso l’alto”), tutto il resto è un ulteriore scenario di geometrie poetiche off per orecchie buongustaie.
Altre guest partecipano al disco, Francesca Bono degli Ofeliadorme e Lorenzo “Oz” Ori (sound engineer di molte band di livello), ma è lei, Maria Devigili, che ha il merito assoluto di aver creato una sostanza cantautorale – vera/immaginaria – che da qualsiasi parte la collochi, rimane inafferrabile, limpida e immaginifica come un’aurora boreale ai tropici. Eccellenza!
(Max Sannella)
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