Gerardo Pozzi è un pazzo. Non si spiegherebbero altrimenti le vertigini musicali e linguistiche in cui si avvolge, in quel suo universo parallelo, lontano anni luce dalle logiche di facile intendimento e costruzione del mondo intorno foss’anche indie. Una felice assodata disperazione, uno sguardo ironico e dissacrante, storto e oltremodo illuminante; una catena di immagini che sembrano casuali, caotiche, sconnesse, e all’analisi invece taglienti, iperrealiste, autentiche, penetranti come bisturi; una capacità melodica originale e di indubbio fascino, straniante e coinvolgente allo stesso tempo, che mescola generi e epoche, per vestire ogni sogno e ogni immagine con un bizzarro abito su misura; lui poi che canta che sembra se ne freghi, e invece intesse sensazioni e parole con maestria; tutto questo e altro che sicuramente troverò ancora nei prossimi ascolti, fa di questo suo album nuovo, Tigrecontrotigre, un piccolo manuale musicale della sopravvivenza.
“Tigre contro tigr”e, perché capire la realtà è come pronunciare assurdi scioglilingua senza senso, “Tigre contro tigre” perché ormai gli incontri diventano troppo facilmente scontri, e ancora, perché la nostra complessità non ci è chiara e fatichiamo a capire anche solo i nostri bisogni. Quando anche i gabbiani prendono un abbaglio, confondono un miraggio, si spostano in città rivoluzionando abitudini innate, quando l’assuefazione alla violenza e al dolore televisivo fanno scomparire anche quel minimo di indignazione che sfocia al massimo in un post irritato sui social, quando l’alcool paradossalmente non è più strumento di ottundimento e fuga ma elemento di improbabile equilibrio in un mondo squilibrato, utile addirittura per reimparare a ubriacarsi di vita, e di sguardi e di sorrisi; quando il tuo paese arriva a un tale livello di aberrante degenerazione e corruzione da lasciare attoniti e incerti, quando presi dalla foja di rincorse spossanti non ci si rende conto più di un cazzo e la bellezza fugge via intorno, quando ci si limita a raccattarsi briciola a briciola per affrontare un nuovo giorno senza nuove speranze, ecco, allora, non resta forse davvero altro da fare che restare in precario equilibrio tra ragione e follia, dimenticando da quale lato è il mondo reale, ingannando i maestri improvvisati e gli innumerevoli discepoli, vagando insieme a poche anime solitarie e solidali, in attesa della cagata elefantiaca che seppellirà tutto in un letamaio finalmente da pari e patta.
E si, è pazzo Gerardo, di quella pazzia di cui questo mondo livellato verso il basso e omologato nella sua globalizzazione ha davvero bisogno, di un pensiero deviato e di un’idea stramba ma salvifica, tanto simile a quella di Shlomo, il pazzo del villaggio in Train de Vie, che forse non salverà tutti dalla deportazione, ma consentirà loro di stravolgere la partita truccata, scompigliare carte e giochi, ridistribuire speranze.
(Alberto Marchetti)