Felpa è una sicurezza morbidissima, Felpa è il tepore della casa alla sera, quando tutto si ferma e anche i muri si addormentano, Felpa è l’amore timido e mai rivelato per due occhi grandi. Felpa è l’animo dream pop di Daniele Carretti, musicista poliedrico già al lavoro con Magpie e Offlaga Disco Pax. Felpa torna, dopo un capitolo dedicato all’abbandono, a interessarsi del sottosuolo emotivo, dei rumori di fondo della vita di tutti noi. E lo fa con un disco limpido, sincero, prezioso: ”Paura”, inciso di notte, è un disco candido nonostante il terrore del titolo, un disco che sa di me, di te, del ragazzo a testa bassa sull’autobus, dell’eterno bambino che si stringe nel letto avvolto dai pensieri.
Ma la paura di Carretti non è fatta di molecole cattive e ansiogene, piuttosto una terapia dell’anima, un decongestionante per il cuore e per la testa. Uscito lo scorso 2 febbraio per Sussidiaria, il nuovo album di Daniele Carretti si snoda fra sonorità shoegaze, passione viscerale del nostro da sempre amante del capitolo Slowdive, e cuscinetti cantautorali, airbag della vita che profumano di atmosfere soffuse e chitarroni noise pop. Non è facile cercare nell’oscurità. Il mondo alle volte ci sembra così confuso e spaventoso, o forse troppo veloce. Ci fa sentire stupidi, solo perché il nostro cervello funziona diversamente. ”Felpa nasce un po’ per caso, come un bisogno che va assecondato”, confessa lo stesso Carretti, che ha iniziato a lavorare a questo disco subito dopo l’uscita del precedente ”Abbandono”, uscito nel 2013. ”Felpa è un’esigenza espressivanecessaria. Felpa è un prodotto biografico, più o meno. Felpa trae ispirazione tanto dall’Italia musicale di fine anni ’90 quanto dall’Inghilterra musicale di inizi anni ’90, ma volendo guarda ancora più indietro nel tempo. Felpa è Daniele durante le sue notti insonni.” Dagli arpeggi semplici e solidi dell’opener strumentale ”Buio”, sognante foschia dal flusso melodico cereo al piano cervellotico, gelatinoso di ”Inverno” passando per le note dilatate di ”Accanto a te”, paradiso di delay enfatici e trasognata preghiera. La luce che filtra da ”Paura mai” è quella di una abat-jour elegante e timida, rinvigorita dalla drum machine vagamente Cureiana e malinconica. Perdendosi fra i notturni percussivi d ”Spazio” e la favoletta per chitarra, acustica e fioca di ”Stanotte”, arriva secca l’ “Estate” che conscia di non avere più tempo si smaterializza in arpeggi electro-pop fino alla litania meccanica e cupa di ”Luce’‘, un ossimoro vitale e sonoro.
Quella che canta Carretti è la paura di rimanere soli, quella spaventosa di fronte alla quale non si sa come reagire, ”non c’è una paura specifica, è più una consapevolezza che hai quando capisci che sei da solo e ti rivolgi al futuro senza sapere che cosa succederà. La paura è uno stato d’animo. Però in qualche modo è tranquillizzante, perché sai di provare qualcosa.” I brani di Felpa si accartocciano in dialoghi sulla vita, la morte, le illusioni, la paura di vivere e la sensazione di non essere “veramente” vivi; parlano, gironzolando nella notte, si trovano mano nella mano e restano così per i trentotto minuti del disco. Quella paura che ha la capacità di distorcere le cose che vediamo evapora fra riverberi shoegaze e morbidissimi overdrive per ascolto che si rivela tanto denso quanto infinito. Un’energia dilatata, una carica che sfocia in un sound evanescente, sottile, un post-rock esoterico che parla con semplicità e vena malinconica ai nostri incubi tenebrosi e claustrofobici. Ritmi sintetici e penetranti, flussi sonori di dissonanze, echi, e riverberi, che scorrono via fluidi, liberi, leggerissimi. Come la voce dei sogni, come il linguaggio delle paure.
(Beatrice Pagni)
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