Paolo Saporiti ha intrapreso un viaggio di derivazione dalla sua opera precedente, quell’album omonimo in lingua italiana, a fronte di altri 4 in inglese, che ha segnato un nuovo inizio e che lo ha subito posto all’attenzione dei sensibili, per profondità di introspezione lirica e bontà compositiva. Quasi un anno fa la madre gli disse al telefono la frase diventata titolo, e quello fu l’ultimo inquietante contatto.
Il cantautore milanese ha iniziato da lì a scandagliare il suo universo interiore, in un’autoanalisi potente e spesso dura, uno scavo profondo e doloroso necessario a rendere meno nebuloso il coacervo di emozioni in conflitto che lo ha sempre accompagnato. Questa seconda opera arriva addirittura in formato doppio, per il piacere di Saporiti nel percorrere in dicotomia sentieri musicali diversi che riesce a controllare e a far convivere con sorprendente abilità. Da una parte c’è questa vena di scrittura che, con il ritorno alla lingua patria, lo avvicina proprio alle scuole migliori del nostro cantautorato migliore, non è casuale qui la presenza di ”Hotel Supramonte”, accompagnato da una band rodata nel tempo che ne accarezza l’andamento con garbo e ruvidità, tecnica e compattezza, pur essendo all’oscuro dei brani prima dell’incisione. Dall’altra parte c’è questo desiderio di nascondere le liriche di questo travaglio emozionale dietro un muro sonoro quasi invalicabile, un noise che, pudico, evidenzia la distanza dalle soluzioni e i limiti dell’umana comunicazione. I brani sono gli stessi, cinque autografi e, come detto, una cover da De André.
I brani sono tutti buoni, meglio apprezzabili, per le ragioni suddette, nel primo cd, “A modo mio” sale lentamente in tensione, la ballata “In costante naufragio”, ammaliante, cita: “…se il mare m’assomiglia/come il padre mio morrò/chi mi ama e chi mi piglia/nel disastro condurrò…”, il contrabbasso introduce il dissonante blues jazzato “Figlio di Madre Incompleta” che nella versione 2 diventa un messaggio dall’etere, con la voce filtrata accompagnata da intermittenze e pulsare di stelle. Molto bella “Io non resisto”, con un refrain che rimane, coi fiati ad accentuare rarefazione, solitudine e dolore, “Per l’amore di una madre” ha liriche da brividi “…è quell’amore di una madre che mi porta a vomitare tutto quello che mi passa di quaggiù / quell’amore di una madre / che ti lascia a macerare / per rispetto di quel figlio / che non sei mai stato tu…”. E anche qui le versioni 2, quelle di Iriondo, stranianti e fredde, non tolgono nulla alla forza dei pezzi. Chiude quest’omaggio a Faber, una versione tesa e bella, ben orchestrata, che diventa nella seconda riproposizione tempesta e bombardamento.
Procede per i suoi sentieri Saporiti, alla ricerca di se, e intanto li arricchisce quei percorsi, li rende praticabili, in un raro incrocio di azzardi riusciti, e con un altro bel pugno di belle canzoni.
(Alberto Marchetti)