
Lettera 22 – Le nostre domeniche (2014 – Libellula/Audioglobe)
Un mentore come Paolo Benvegnù ha lasciato una notevole impronta sui Lettera 22. La band marchigiana con Le nostre domeniche sfodera un’anima candida e malinconica. Il cantautorato elegante di “Finestre aperte” si sviluppa con melodie chiare e pulite, voce ferma, dolce come nella migliore tradizione pop. “Drive in” con il suo ritornello da cantare in coro con l’occhio lucido mostra il lato più italico del lavoro, ma non mancano sfumature più europee. Una creatura a cui bisogna dedicare la giusta dose di attenzione nell’ascolto.
(Amanda Sirtori)
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Valuna – Non piove ma è come se (2014 – Lafine/Upwind/Sciroppo Dischi)
Il quartetto capitolino dei Valuna esordisce con un disco di puro post-rock sulla scia dei maestri italiani Giardini di Mirò, aggiungendo qualche picco emo-core. Nulla di nuovo dal punto di vista sonoro e nemmeno emotivo: le atmosfere malinconiche e disilluse sono perfettamente in linea coi suoni e i sali-scendi dinamici sono la componente principale dei pezzi. Non essendo di fronte ad un capolavoro la noia è latente e solo ad un appassionato del genere può rimanere impressa la musica dei quattro. Bello l’artwork pensato per il CD in edizione limitata.
(Aaron Giazzon)
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The Natural Dub Cluster – In Deep (2014 – Bloddy Sound Fucktory/ Elastica Records/Alambic Cospiracy)
Ispirato al pensiero nichilista del poeta Andrea Palazzo amico scomparso durante la stesura del disco, il secondo lavoro della band di recanati punta ad allargare i confini della dub creando un miscuglio di elettronica industrial e dark-wave che ricorda in tante sfaccettature i NIN. Con la partecipazione degli Uochi Toki ed altri musicisti il disco prende un po’ di sapore con ritmi scanditi e atmosfere cupe ma la salsa rimane poca, poco senso con tante tracce che si somigliano e un po’ di noia.
(Marco Vivarelli)
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The Bad Mexican – Due (2014 – Lizard Records)
The Bad Mexican è un progetto toscano dalla caratura internazionale per la forza e l’originalità della proposta. Il disco è un concentrato del meglio art/kraut/sperimental-rock con riferimenti più o meno espliciti a geni come Zappa, Zorn, Patton, Claypool. Tra stop&go fulminanti, svisate noise-jazz, un sassofono infuocato, liriche spezzate o nascoste sottotraccia, inserti elettronici futuristi e psichedelici e pop anni 60 la musica della band è tra le più stimolati ed indecifrabili del panorama odierno. Tutto questo potrebbe creare un po’ di confusione, ma se rimaniamo curiosi e attenti i The Bad Mexican si rivelano una delle proposte più talentuose e folgoranti dell’odierno panorama musicale italiano.
(Aaron Giazzon)
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Bea Zanin – Bea Zanin Ep (2014 – Autoprodotto)
Primo lavoro autoprodotto per la polistrumentista torinese Beatrice Zanin. L’ep composto da quattro tracce vuole essere un punto d’incontro tra il pop alternative italiano e la musica elettronica degli anni 90. A dire il vero riesce difficile seguire con una soluzione di continuità le canzoni che compongono questo disco, sembra di essere davanti ad un revival radical chic de Il Genio, e a nulla pare servire l’inserimento delle voci liriche di Eleonora Maag e Renzo Xiaoyu Ran. Io personalmente ho fatto abbastanza fatica nell’ascolto e mi sono perso nella non fluidità del tutto ma confido che qualcuno di voi con l’orecchio più nobile possa riuscirci. Brano da inserire nella playlist : “I Limiti”.
(Marco Iannella)
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Telesplash – Non è più poesia (2015 – Tirreno Dischi)
Uscito il 14 gennaio per la Tirreno Dischi, Non è più poesia è il nuovo disco della band toscana anticipato dal singolo “Pioggia e sole”: i Telesplash sperimentano brillantemente con sonorità diverse, si divertono -e si sente!- e regalano un disco fresco e accattivante, un power-pop ironico e arguto. Nove brani che profumano di cambiamento e crescita per i quattro di Ponticino, a metà fra disincato e spasso musicale. Un visionario caleidoscopio di tenerezza e rock retrò, fra momenti dandy, duetti insoliti e spirito post-punk, un affresco di cantautorato che fa cose belle.
(Beatrice Pagni)
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Deep Black Sees – Listen=Silent (2014 – autoprodotto)
L’ultimo EP dei siciliani DBS ci dice innanzitutto che la band è una combriccola di giocherelloni: il nome dell’album è una coppia di anagrammi, i titoli delle canzoni sono tutti palindromi. I motivi d’interesse finiscono qui. Non che sia un album brutto tout court; il suo problema è che sa di vecchio. La band vorrebbe modernizzare il progressive rock, ma brani come “Drown On Word” e “Dumb Mud” riescono solo a riportare in auge Alice In Chains e primi NIN. E il sax à la Gerry Rafferty di Rions Noir non aiuta certo a svecchiare.
(Francesco Morstabilini)