Wildbirds & Peacedrums – Rhythm (2014 – The Leaf Label)
Andreas Werliin e Mariam Wallentin, coniugi svedesi nonché unici titolari del nome Wildbirds & Peacedrums, tornano con un album dal titolo programmatico: Rhythm. E proprio il ritmo sta alla base delle nove canzoni qui proposte, mai così essenziali, solo la batteria di lui e la voce di lei a riempire i solchi e gli spazi d’ascolto. Blues nell’anima e pop nel cuore, “Rhythm” svicola l’anonimato delle discoteche affollate per accomodarsi in prima fila tra i dischi da tenere a portata di mano.
(Francesco Morstabilini)
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Molè – RGB (2014 – RareNoiseRecords)
Messico, Giappone e NY: il ritorno dei MOLÈ mescola geografia e stati d’animo per un disco che si concentra sui ritmi di piano e batteria. Capaci di spaziare dal jazz al rock al drum’n bass e le invenzioni melodiche di Aanderud, eccelso pianista, RGB si muove maestoso e fluido fra improvvisazioni e armonie densissime. Spasmi free jazz si fondono con malleabili effetti elettro in un disco che si dimostra spavaldo e massiccio, nella sua libertà sonora. Ipnotizza ”RGB”, disteso su sintonie quasi nervose, estatiche. Tra funky potente e sbalzi uptempo, è uno scossone giocoso per ascoltatori attenti.
(Beatrice Pagni)
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Sounds of Sputnik – New born (2014 – Ear to Ear Records)
Il gelo della sua Russia, deve averlo distratto dal fatto che un disco con più remix che inediti sarebbe stato meglio dividerlo in due parti e chiamarli EP. Questa creatura insolita si porta dietro l’esperienza ventennale di Alexander e le atmosfere grigie e scure dello space-rock più raffinato e cristallino, ammorbidito dalla voce un po’ impostata ma profonda di Shauna degli Ummagma che però diventa il segnale della ripetitività che minaccia l’ascolto. Peccato forzare tanta fantasia in spazi così poco liberi, ma tutto sommato, più che promosso.
(Carla Di Lallo)
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Alia – Asteroidi (2014 – NeverLab Dischi)
“Asteroidi”, mai titolo fu più azzeccato: si ha l’impressione di aver fatto un viaggio intergalattico, in cui magari qualcosa ci è sfuggito, non tutto è stato compreso ma di cui certamente si è goduto la bellezza, proprio come quando si guarda un cielo notturno estivo, nella speranza che una stella cada per esprimere un desiderio. Ecco, ascoltando il disco, quasi si diventa stelle cadenti, perdendosi in un immaginario onirico intenso e affascinante, tra sonorità lievi, strutturate, genuine eppure raffinate. Tra Tiromancino e Amor Fou, tra i LaCrus e Riccardo Sinigallia, è forse arrivato un nuovo cantautore capace di farci venire la pelle d’oca per le troppe emozioni che suggerisce?
(Alessio Gallorini)
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Senhal – Band EP (2014 – Autoprodotto)
Arriva di gran carriera la “Supernova” che apre l’EP dei Senhal, dal timbro bell’acceso, che già dalla prima traccia lascia presagire un buon seguito, indirizzato verso il pop cantautorale. Il gruppo, non a caso, nasce da un duo primordiale “innamorato della canzone italiana” (saranno un caso le citazioni a Dé André?) per poi espandersi con altri due componenti e puntare alle atmosfere indie. Si può ritrovare questa passione per il belpaese in tutti i ritornelli del quartetto e nelle tracce con la presenza di chitarre acustiche (l’ultima su tutte). Il disco è ben registrato e nel complesso di facile ascolto.
(Roberto Mencarelli)
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Cumino – Pockets (2014 – Autoprodotto)
Tornano i Cumino, ovvero la chitarra di Luca Vincenzi e il synth di Davide Cappelletti: dopo “Tomorrow in the battle think of me” uscito nel 2012, e svariati ep, lo scorso 18 novembre è uscito Pockets, un concentrato emotivo di ricerca melodica dall’attitudine elettronica. Bozzetti di suoni dilatati, su tappeti armoniosi, e velocità sostenute. Fra synth e tappeti dronici, il sound dei Cumino si illumina rarefatto in mezzo a momenti post rock, beat sperimentali e soffici drum machine. Onirico, etereo e seducente si muove in equilibrio su corde ossessive: un gradito ritorno che fa ben sperare.
(Beatrice Pagni)
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La Bestia Carenne – Catacatassc’ (2014 – Autoproduzione)
In dialetto napoletano “catacatassc’ ” significa “le lucciole”: sono le lucciole che i La Bestia Carenne scelgono come guida in questo loro percorso musicale, di cui qui si ha l’esordio. La cosa che colpisce di questo disco è che, pur essendo appunto un’opera prima, è già musicalmente ricchissimo, con ogni brano che è un mondo a sè: si passa in scioltezza dal folk sbarazzino ed elettrico (“La vacanza di un Ferroviere”) al cantautorato (“Cadillac”), fino ad atmosfere più jazz ed introspettive (“Jeanne”). Insomma siamo davanti a una band che mostra i prodromi di un talento notevole, che ha solo necessità di essere sviluppato: tra Capossela, De Andrè, Tom Waits, vengono in mente nomi importanti, spetterà ora a loro confermarsi e saper tener fede a un così valido esordio.
(Alessio Gallorini)