Non sto esagerando. Non pecco certo di buonismo. Anzi, sono spesso più le sferzate che le carezze quando scrivo. Ma quando si tratta del Filagosto non posso far altro che iniziare con un: bravi ragazzi! Questo festival non avrà certo risonanza nazionale ma ha tanto cuore e una scaletta che ogni anno propone nomi attuali che cavalcano l’onda dell’indie italiano e nuove proposte che si faranno strada. Questi sono gli ingredienti di ogni buon festival. Per l’edizione 2014 il palco di Filago, piccolo comune della bergamasca, è stato calcato da Marlene Kuntz, Cisco, Zen Circus, Gazebo Penguins e Morgan, più una serata votata al reggae con Beenie Man. Come ogni anno dal 2008, ci andai a vedere i Ministri in tempi non sospetti, ho certo di presenziare a quante più serate possibile. Un tre su sei non è male. Grande rimpianto per non aver visto i Marlene Kuntz e i Vintage Violence ma non ho ancora ricevuto il dono dell’ubiquità.
Il mio personale festival inizia giovedì con un’abbondante porzione di casoncelli, come ogni anno rinnovo il mio amore immenso ai cuochi del festival, e continua con Il Fieno. La band, subito un piccolo cambio di formazione, si dimostra ancora più affiatata sul palco. Con all’attivo tre ep, in attesa dell’album di debutto, i quattro musicisti presentano alcuni nuovi brani. La linea cantautorale dei testi, sempre notevoli e facilmente memorizzabili, si uniscono a una musica che ha scoperto nuovo vigore. La chitarra è tagliente, il dittico basso-batteria picchia ma non stona con l’approccio leggero e disincantato dei brani come “Amos (togli il male come l’Oki)” e “L’adolescente”. Una menzione speciale va fatta alla rilettura di “Vincenzina e la fabbrica”, la canzone di Jannacci non viene snaturata ma viene caricata della rabbia adolescenziale, una rabbia che si dipana nel ritornello quasi urlato. Il palco si popola di numerosi musicisti, è il seguito di Cisco. L’ex voce storica dei Modena City Ramblers dà il via alle danze con la sua affabilità emiliana trascina il folto pubblico nella sua musica. Un crogiuolo di tradizionale folk, elementi cari alla sua Emilia Rossa, fisarmonica e tromba, passione e lotta. Una lunga danza che scalda gli animi nostalgici.
La puntualità non è una virtù che mi appartiene, pertanto venerdì arrivo appena in tempo per vedere gli Zen Circus. Il trio stempera i nuovi brani di “Canzoni contro la Natura” all’interno della scaletta senza tralasciare i classici, quelle canzoni che ti aspetti, le suonano ma è come se le sentissi con l’entusiasmo della prima volta. E qui bisogna citare “Vecchi senza esperienza”, “Figlio di puttana” e “L’egoista”. Il nuovo lavoro colpisce leggermente meno dei precedenti. Tornare in porto dopo i progetti solisti dell’anno passato per Appino forse è stato difficile, ma la macchina Zen non perde i colpi, semplicemente si sta riassestando. Meritano una citazione i livornesi della Maison Orchestra, a proprio agio come bucanieri d’altri tempi sia con i canti sguaiati che con le raffinatezze del cantato-recitato.
Dopo un lungo venerdì, ci si prepara ad un lunghissimo sabato. Dopo la dovuta dose di cibo, sì lo ammetto: vado a Filago per mangiare! Si attacca con i Nociva, il tempo con questa giovane formazione è clemente e i ragazzi possono terminare il loro set all’asciutto portando a casa un buon suono revival-nostalgico-anninovanta. I Luminal scatenano l’inferno, sia sonoro che atmosferico. Un acquazzone si abbatte su palco e pubblico subito dopo le prime note. Il pubblico, tranne qualche temerario, fugge all’asciutto e ascolta da lontano la band che continua a suonare nonostante il vento trascini la pioggia sulla strumentazione. Poco dopo, il tempo di un brano, il cielo si placa e lo spiazzo torna a popolarsi. Il trio ha un approccio estremamente lo-fi al palco. Minima strumentazione, minima spocchia, tanta illustre strafottenza. Per questo risultano una delle migliori band dell’intera programmazione. Sarà che la sottoscritta ha un debole per le composizioni basso-batteria con testi ad alto grado di disagio, ma non sembro l’unica ad apprezzare e ad apprezzarli. Il carisma dei due cantanti, Carlo e Alessandra che si alternano alla voce e al basso, dona molto al carattere complessivo del gruppo. L’estrema provocazione di “Giovane musicista italiano, vecchio italiano” e “Carlo vs. il giovane hipster” in cui avvertono che diranno solo ovvietà si dissolve nella poesia tagliente di “L’aquila reale”. Carlo e Alessandra provocano e interagiscono col pubblico, strisciando sul terreno bagnato, prostrandosi ai piedi di uno spettatore e usando il basso quasi come un totem. Drum bass & no future since 2012, mai epigrafe fu più azzeccata. La serata si potrebbe benissimo fermare qui. E invece il Filagosto riserva al pubblico un altro gruppo, si tratta dei Gazebo Penguins. Trio espanso a quartetto che fa dell’adolescenza ormai finita la sua bandiera e traspone le tematiche emo dell’epoca che fu su un buon impianto hardcore. I suoni si sono un po’ raffinati ma la potenza è innegabile. I ritornelli quasi fossero inni generazionali sono urlati a squarciagola dagli irriducibili delle prime file, quindicenni vs trentenni. Uno strano mix di pubblico unito sotto brani come “Correggio” e “Senza di te”. Un bel live, d’impatto e di potenza. Una bella conclusione per il mio personale Filagosto edizione numero 12. All’anno prossimo. (qui la photogallery)
(Amanda Sirtori)
Foto: Jessica Bartolini