Il brutto di essere un giornalista musicale è che l’ascolto della maggior parte dei dischi nuovi ti fa rimpiangere quelli del passato. Il bello di essere un giornalista musicale è che ogni tanto ti capita tra le mani il disco che fa la differenza. A me è accaduto dopo l’ascolto di Holy Vacants, quanto album degli americani Trophy Scars.
Uscito in aprile su Monotreme Records, il quintetto del New Jersey fa rivivere i fasti dei grandi dell’hard rock, te li fa passare in rassegna tutti ma senza mai cadere nel già sentito e rivelandosi, proprio per questo, assolutamente unico nel suo genere, tanto da risultare difficile da catalogare. Holy Vacants contiene un crossover di brani che riecheggiano, come in una cartolina dal passato, ai blasonati della scena rock mondiale, da Jimi Hendrix a Tom Waits, sino agli U2. Il cantante Jerry Jones, autore tra l’altro di quasi tutti i brani, è il valore aggiunto del progetto, con le sue aperture vocali gridate ed i ‘ruggiti’ che ricordano il prog di Chester Bennington dei Linkin Park. Ognuna delle 12 tracce del concept album vive di luce propria e i testi sembrano un romanzo a metà tra il film dell’orrore e la metafisica, che mescola in un bizzarro cocktail mitologia, religioni antiche ed il mito dell’eterna giovinezza. Si segnalano punte di eccellenza nei brani “Hagiophobia” e “Everything disappearin”, con schitarrate hendrixiane; “Extant”, “Archangel” e “Crystallophobia” lasciano alle chitarre il ruolo di tappeto melodico, con partenze apparentemente più contenute che si evolvono aumentando il ritmo verso il finale; “Queres” e “Vertigo” sono brani più aggressivi dove la voce del singer statunitense esplode prepotentemente nella sua tonalità più rabbiosa; “Gutted” mette in scena un superbo blues dalle tonalità cupe.
Un mix vincente che mescola il pianoforte di Gray Reinhard, la chitarra e la batteria di John e Bryan Ferrara ed il basso di Andy Farrell, componenti della band, ai suoni aggiunti di trombe (Taylor Mandel e Caleb Rumley) e violino (Davis Rimelis), a consacrare definitivamente i Trophy Scars band di alto livello e “Holy Vacants” un piccolo capolavoro: da avere.
(Agatha Orrico)