Chiariamo subito una cosa: adoro i The Black Keys, la loro bellezza sbafata e la lucida elettricità che avvampa le loro canzoni è il toccasana per qualsiasi cosa, ma onestamente nutro qualche infinitesimale dubbio circa questo Turn Blue, ottavo disco sul medagliere del duo di Akron Dan Auerbach e Patrick Carney, un disco “svampato” dalle salubri sferzate melodiche e una sensazione di già sentito che si aggira ad ogni angolazione d’ascolto, e dopo ripetute sessioni a tutto volume il dubbio – ripeto soffuso – è ancora li in piedi – beffardo – tra stereo e tracklist.
Pubblicizzato attraverso un video presentato nientepopòdimeno che da Mike Tyson, “Turn Blue” risulta sempre un buon prodotto scattante come da prassi della band, ma è come se il duo artistico si sia preso un momento di pausa di ricerca e che via via si vada ad indirizzarsi verso una classicizzazione rock, forse un momentaneo affloscio dimensionale e stilistico o magari una nuova direzione, fatto sta che finisce per suonare ma senza quella spinta vorticosa dei primi dischi, scorre egregiamente ma avaro di picchi emozionali. Prodotta anche da Danger Mouse, la tracklist è di una parvenza immaginaria, tracce che scavano e raccontano tra tristezza e florescenze di vita personale, amori e non che si inseguono per incontrarsi o ignorarsi, chitarre, organi e riverberi sinfonici Sixsteen “In our prime”, ritmi Ottantiani “Fever”, la titletrack, “Year in review”, azzardi dancey “Lovers” mentre se ci si vuole sintonizzare sulla botta a caldo di un glam rock pirico bisogna aspettare la traccia numero undici “Gotta get away” che oltre a scaldare chiude il lotto tra sculettamenti e una inaspettata esuberanza di ottimismo.
Per piacere piace, ma non ci sono molti spiragli per urlare ad un nuovo miracolo. Sentiremo alla prossima.
(Max Sannella)