Il Canada è sempre terra di sorprese e grandi conferme dai debordanti Metz al rocker senza tempo Neil Young, passando per i padroni del millennio in corso: Arcade Fire e una delle formazioni in duo più potenti degli ultimi anni e cioè i Japandroids. È, quindi, evidente che le fredde terre del Nord non hanno nulla da invidiare in fatto di rock alle patrie della musica contemporanera USA o UK. Ecco, dunque, che anche le due The Pack A.D. scendono da nord con l’intenzione di prendersi una fetta di ascoltatori attenti al rock in forma di duo, grazie al quale scatenare un macello sonoro senza il bisogno di un’ensemble mastodontica o l’utilizzo di strumenti particolari. Le due giovani, Becky e Maya, utilizzano la fidata coppia chitarra/batteria con melodiosa voce post grunge influenzata un poco da Courtney Love, ma più armoniosa e moderna.
Il disco qui raccontato è il quinto per il duo femminile che sfodera un muscoloso rock dai ritmi moderati e che punta molto sull’efficacia delle linee vocali sempre tese tra melodia e rigurgiti punk. Come ogni buon disco del 2014 non possono mancare certe influenze indie dalle quali è quasi impossibile smarcarsi, ma le grosse dosi di distorsioni fanno protendere più per un’attitudine grunge piuttosto che indie o blues, come altri colleghi illustri come The White Stripes e Blood Red Shoes. La partenza del disco è affidata ad una fila di pezzi dritti e dai ritmi moderati in cui, da subito, è messa in bella mostra la voce di Becky, melodiosa e calda. L’impressione generale fino alla ben riuscita “The Water” è che le due ragazze possano comporre decine di canzoni tutte sostanzialmente simili senza spezzare mai il ritmo indolente delle loro composizioni distorte, ma incredibilmente pop nel piglio. La prima metà del disco è, dunque, sufficiente e utile per passare qualche momento di svago sonoro, ma niente più. Le cose migliori arrivano dalla blueseggiante “Stalking Is Normal”, in cui la voce nel ritornello si fa bella cazzuta e il gioco dinamico di nirvaniana memoria fa il suo a dovere donando al pezzo un ottimo andamento rock. “The Loser” è, invece, un pezzo lento e disteso dalle tinte wave, che si apre poi in un ritornello da stadio che non esplode mai del tutto. Il disco si chiude con una coppia di pezzi, “The Rocket” e “Needles”, che lasciano ampio spazio, ancora una volta, alle capacità espressive della voce di Becky e chiudono il disco nel modo più degno possibile.
In definitiva “Do Not Engage” è un disco onesto e fatto bene, ma la mancanza di soluzioni strumentali davvero efficaci o perlomeno interessanti fanno cadere tutto il peso dei pezzi sulla voce di Becky, che, seppur molto dotata, non può essere l’unico elemento degno di nota per un disco che punta ad un’attenzione internazionale.
(Aaron Giazzon)