Quasi fenomeno in Inghilterra, “adocchiati” con interesse da Arthur Brown e forti del successo con la loro musica presa come colonna sonora di War Zone, il cortometraggio di Marco Marchesi presentato a Cannes nel 2013, i milanesi Prizeday godono di ottima salute artistica e Apps Will Grow Like Feathers è il loro felice debutto, un disco che cambia pelle come biancheria intima, soavità, eleganza, color fumo e formati pop-waveing di sintetizzatori, electro-loop, chitarre rock “Be out of this world” lampeggianti e quel minimo di decadenza romantic che si fa trina e merletto in una scaletta geniale per tutto il suo tragitto stile Ottanta – su tutte “Cross of summer light”-.
Da noi in pochi sanno del loro lume artistico, all’estero gioiellino messo in focus, e così i Prizeday si raccolgono in una atmosfera molto Dandy delineando una traiettoria sonora che volge molto verso il Duca Bianco dell’epopea berlinese se non addirittura nei colori acciaio dei Silver Apples o dell’Alan Vega dei Suicide, una cura per i suoni inconfondibile e bagliori di minimalismo che si fanno apprezzare quasi questi fossero un lusso alternativo di emozioni, cosa che poi lo sono a tutti gli effetti; un registrato che guarda benissimo a lungimiranze e confini internazionali, una scrittura in crescita costante da farci volentieri afferrare strette di cuore e ricordi dietro l’angolo, il romanticismo melodico “Punk singer for a night in Berlin”, la convulsione shuffle “I hate X Factor”, il sogno ad occhi aperti di “Fight or flight” o gli ancheggiamenti mid-dancely che “Psycho electro love”, tutte cose “mosse” che possono riempire di ottimismo una giornata in bianco e nero.
Presto detto i Prizeday sono autori di un disco debuttante con tutti gli assi nella manica per sfondare alla grande e per rimpatriare in questa Italia “dimenticona” la loro eccellenza che – appunto – all’estero apprezzano e ci invidiano. Un futuro classico.
(Max Sannella)