Talvihorros è il moniker dietro cui si cela il compositore britannico, più precisamente scozzese, Ben Chatwin, in scena dal 2008 e con all’attivo già numerose produzioni (da ripescare sicuramente “Music In Four Movements” del 2010, sempre per Denovali, che rappresenta la summa non solo della sua carriera, ma anche di tutto un mondo di chitarre processate e synth-music). Mantenendo la cadenza più o meno annuale delle sue uscite si ripresenta in questo principio di 2014 con il nuovo Eaten Alive e con una nuova spinta esterna: Daniel Crossley, Mr. Fluid Radio. Con Crossley, Chatwin ha visitato i luoghi di West London, luoghi in cui si è stabilito pure lui. Come spiegato dallo stesso musicista scozzese, da queste visite sono nati pensieri su memorie condivise e sguardi malinconici al passato che sono andati a creare il substrato di questo disco, la base concettuale su cui adagiare la musica.
Il risultato non può che portare con sé un alone di drammaticità, vuoi per il fatto di rimembrare il passato, vuoi per la vita difficile che Crossley ha raccontato a Chatwin. Le otto tracce che compongono questo lavoro sono allora storie che raccontano di isolamenti, abusi e tristezze, centrifugati in flussi sonori dalla fortissima forza emotiva. È uno sguardo che va verso la profondità dell’animo, che indaga la facilità con cui questi fatti possono accadere e di come le difficoltà facciano parte del gioco. I flussi sonori, che ricordano tanto Fennesz e Ben Frost, scorrono inesorabilmente come in “The Secrects Of Sky”, pezzo tra i più belli del disco che, ad un inizio placido e bucolico somma pian piano arpeggiatori analogici, ronzii e frequenze rumorose fino al delirio noise finale, dove il maelstrom oscuro è spezzato dagli stralci di melodia che riescono a venire fuori. “Dyspnea” ha una costruzione simile dove però si sommano clangori industriali che costruiscono una rudimentale e marziale struttura ritmica. Un processo opposto quello che si trova in “Little Pieces Of Discarded Life” dove l’incipit è coperto da coltri oscure che pian piano si diradano verso la luce che irrompe nel mezzo del brano, fuggevole e istantanea, per poi sparire di nuovo. In “Objectum” i suoni sono accompagnati da una chitarra pulita e melodica come i suoni di corde pizzicate presenti in “In The Belly Of The Beast” dove però non corrono solitari ma inseguiti da palpiti ripetitivi e bassi. Discorso a parte per “Today I Am Reborn” che, come il titolo suggerisce, è una lenta ma sicura e inesorabile risalita dagli abissi, con la musica che conquista un grado leggero di ariosità nel mezzo del frastuono.
Lavoro forse di transizione che non aggiunge molto altro all’estetica di Chatwin ma che, in compenso, lo conferma come interprete notevole della musica elettronica contemporanea, che fa riferimento a gente come Tim Hecker, e delle chitarre processate sullo stile di Fennesz.
(Matteo Moca)