Gli album di Mark Kozelek più che dischi nel senso consueto del termine sono lastre pettorali talmente crude e disarmanti che, terminato l’ascolto, non sai se sia maggiore la commozione o il senso di disagio che avverti per aver violato l’intimità di qualcuno che sostanzialmente ti è estraneo, ma che alla fine probabilmente conosci meglio di tuo padre.
Il fondatore di Red House Painters e Sun Kil Moon torna a pochi mesi di distanza dai due album pubblicati a suo nome l’anno scorso (gli splendidi “Perils From The Sea” e Mark “Kozelek & Desertshore”) con un altro lavoro di livello elevatissimo, confermando una produttività e un’ispirazione davvero fuori dal comune. Benji si sviluppa senza soluzione di continuità su un’ora esatta di intrecci acustici, arrangiamenti meravigliosamente scarni e i consueti imprevedibili cambi di tempo, raccontandoci con un’onestà e una trasparenza impressionanti di parenti morti in incidenti grotteschi (“Carissa” e “Truck Driver”), dell’intenso e travagliato rapporto coi genitori (“I Can’t Live Without My Mother’s Love” e “I Love My Dad”), di un amico di famiglia in arresto per aver “staccato la spina” alla moglie (“Jim Wise”), di laceranti ricordi d’infanzia (“Micheline”, capolavoro come già lo fu la sua versione “maschile” in “Down Colorful Hill”), di frammenti di vita inscindibilmente legati ai propri ascolti ed incontri musicali (“Dogs”, “I Watched the Film The Song Remains the Same”, “Ben’s My Friend”), e ancora di folli massacri e serial-killer (“Pray for Newtown” e “Richard Ramirez Died of Natural Causes”). Difficile scegliere il meglio di un album le cui liriche e musiche sono totalmente inscindibili e toccano vette assolute, dove le grandi canzoni non si contano, anzi mutano continuamente forma ad ogni ascolto, superandosi e ripassandosi senza sosta ogni volta che “Benji” gira sul piatto. Ancora più arduo risulta poi trovare le giuste parole per descrivere come si dovrebbe un’opera così complessa e sentita, che merita davvero unicamente di essere ascoltata con estrema cura.
Al di là di quello che ci riserverà musicalmente questo 2014, possiamo quindi solo ringraziare Kozelek per averci donato un disco che già di per sè dona un senso a tutto ciò che sta per arrivare e ci fa sentire, ancora una volta, meno soli.
(Federico Anelli)