Da profano della musica elettronica non conoscevo Trentemøller prima che Shiver mi chiedesse di fotografarlo, e a quanto pare ero l’unico in tutta Bologna. Infatti praticamente ogni mio amico aspettava il concerto ed sarebbe stato li con me a mia insaputa. Pur non essendo propriamente il mio genere dopo la breve ascoltata di rito su Spotify mi sono convinto ad andare.
Il live del dj di Vordingborg viene aperto (abbastanza a sorpresa) dal sempre danese T.O.M. and his computer, unitosi al tour soltanto il giorno prima. T.O.M. ha tenuto a bada il pubblico con una decina di pezzi tutti di impronta molto cupa, resi ancora più cupi da un’illuminazione a dir poco inquietante. T.O.M. ha poi lasciato il palco poco prima delle 22 facendo sperare in un inizio puntuale del concerto, che ovviamente non c’è stato. Dopo una mezz’ora abbondante di attesa, con la sala ormai gremita di gente (o quasi, visto che un terzo dell’Estragon era stato recintato e reso off-limits) Trentemøller sale sul palco con entourage annesso. Ben sei artisti insieme a lui: un chitarrista, un batterista e due meravigliose chitarriste di cui una è anche cantante per più di un brano. E il sesto? Beh, last but not least c’è un light designer, e uno davvero bravo visto l’impatto che la presentazione visiva ha avuto su tutto il live. Passo le prime 3 canzoni sotto palco cercando di catturare qualche scatto valido nonostante le luci davvero imprevedibili e la barricata fatta di tastiera, synth e pad di cui Anders fa la sua trincea, poi sguscio fuori e raggiungo i miei amici per godermi il resto del concerto. E mi trovo a farmi trascinare inaspettatamente da tutta l’atmosfera, dai ritmi a tratti calmi e poi di colpo intensi, e allo stesso modo da una coreografia di luci davvero unica impossibile da raccontare a parole e nemmeno con le foto. Mi aspettavo un mero djset sotto mentite spoglie, e invece mi trovo con gioia ad assistere a un vero a proprio concerto, e non certo di quelli mediocri. Le stesse foto raccontano di un Trentemøller che vuole un palco tutt’altro che per se stesso, che rende protagonisti prima di tutto gli altri membri della band, ma che allo stesso tempo non si nega al pubblico per incitarlo e galvanizzarlo quando serve. Dopo una buona ora e mezza e un paio di encore lascia il palco, applaudendo ma soprattutto meritatamente applaudito (da me compreso).
Spinto dalla paura di non svegliarmi con occhiaie e mal di testa decido di trascinarmi fino a chiusura in un pub con due amiche incrociate nel parcheggio, nell’attesa che i timpani smettano di fischiare almeno un pò.
Foto e testi: Lorenzo Bulfone