Esistono personaggi che possono concedersi tutti gli sfizi che vogliono. Portano sul groppone anni di onorata carriera, sorretti da gambe che non hanno lesinato chilometri; per ogni chilo di reputazione hanno trangugiato altrettanta merda; “sedersi sugli allori” e “compromessi” non rientrano nel loro lessico. Chino Moreno è uno di loro. Guadagnatosi la pensione con i Deftones, il cantante californiano si è preso più volte dei periodi sabbatici dalla band madre per dedicarsi ad ambient sui generis (Team Sleep), post post-metal (Palms) e ai non-chiamateci-witch-house ††† (che d’ora in poi chiamerò, per amore di agio e pigrizia, Crosses).
Proprio di questi ultimi abbiamo ora in mano l’omonimo album di debutto, arrivato dopo due EP (qui e qui le recensioni) di riscaldamento, a conferma che il rodaggio del trio è finito ed è pronto a fare sul serio. Moreno è stato in realtà l’ultimo a mettere piede sul ponte di comando della fregata Crosses; chiamato dall’amico e compagno di scorribande soniche Shaun Lopez (chitarrista dei Far) a mettere il suo vocione su un paio di tracce, il cantante è stato folgorato dal proverbiale colpo di fulmine, decidendo di entrare nel gruppo. Le basi, create da Lopez insieme al misterioso maneggione sonoro Chuck Doom, hanno fatto innamorare il lato di Moreno con un debole per l’elettronica oscura e sinuosa. Nonostante il background metal di due terzi della band, infatti, in Crosses non c’è traccia di chitarroni e urla. Il cantato di Moreno diventa più diretto, quasi convenzionale, per adattarsi a un tappeto di suoni oscuri, intrecciato con batterie elettroniche palpitanti, sintetizzatori striscianti e bassi pulsanti. Lopez e Moreno spostano la pesantezza sonora a cui ci avevano abituato coi loro gruppi d’origine in un altro genere, l’ambient elettronico, con un risultato inimmaginabile e assolutamente imprevedibile dati gli attori alla console. Nonostante a tratti l’atmosfera si faccia opprimente e l’ascoltatore rischi di sentirsi sopraffatto nei passaggi coi suoni più soffocanti, il disco ha un gusto eccellente per la melodia ombrosa e saturnina. E non ricorda nulla di ciò che i componenti della band hanno fatto in precedenza.
Non abbiamo per le mani nessun capolavoro, nessuna pietra miliare, nessuna svolta epocale. Solo un bell’album che oltretutto testimonia la sfida di tre persone a superare se stessi e i propri canoni. Di sicuro i fan intransigenti di Deftones e Far non gradiranno, ma credo proprio che siano fattacci loro.
(Francesco Morstabilini)