“Ma l’amore dura un sorso quando è amore da osteria”.
Boom, uno schiaffo in faccia, è così che Daniele Maggioli comincia, comincia d’impatto, comincia allegoricamente, comincia incuriosendoti, volente o nolente. Non posso fare a meno di essere sincera, al primo ascolto se mi fosse stato materialmente davanti l’avrei prima schiaffeggiato e poi consolato, dicendogli “Scusa ma non si può fare”, invece a distanza di giorni l’ho ripreso, mi sono data una regolata ed ho caricato l’mp3, nel silenzio della città, mentre sull’autobus miliardi di persone continuavano a spintonare il mio precario equilibrio mentale ho deciso di tentare.
Che cosa sia cambiato non lo so proprio, giuro, probabilmente l’irritazione, probabilmente il contesto psico fisico in cui mi trovavo, ma sentivo di essere nei miei personali “giorni del crepuscolo” con un estrema tentazione di esorcizzarli ballando “sopra al baratro il tip tap”, è si, questa è appunto “Crepuscolo” la prima traccia Jazz folclorica che ci viene in contro. “L’amore dura un sorso quando è amore da osteria”
Scene oniriche che continuano a riversarsi nel mio cervello, come passare in rassegna un quadro di Dalì, badate bene, non lo sto paragonando, lo sto semplicemente accostando, come per associazione esoterica, esperienza mistica, intima ed introspettiva. Un senso dell’umorismo sottile ed acuto, “Vai Gesù” è una forma di comicità musicale di raffinatezza sublime, finalmente mi dico, non posso fare a meno di divertirmi e di sentire l’insensata voglia di ballare (seppur su un autobus), senza staccare il cervello ma anzi gratificandolo. Mi sento trasportata nell’età del Jazz, già mi ci vedo con un drink in mano, la piuma fra i capelli e perle come se piovessero, ma sapete cosa apprezzo di più? La possibilità di immaginare qualcosa di diverso in mezzo alla confusione senza senso del viaggio verso casa, apprezzo terribilmente di poter associare alle parole ed alla musica anche un illusione, come vedere degli “Psicopanorami” che scorrono fuori dal finestrino e nella mia mente dove “c’è la ferma convinzione che non servono le regole, che tutto è convenzione, che conviene far l’amore in un convento con le suore”.
E “Resurrezione”? Fiati, la voce di Maggioli che fluttua fra onde di note che quasi galleggiano a mezz’aria con ironia e un delizioso e nostalgico sarcasmo, perché per quest’album protagoniste sono proprio le parole che tanto bene si legano alla musica, la ricercatezza quasi estrema, la limatura. Con “La parola fine” si stanno concludendo i miei due viaggi, quello reale verso la porta di casa, e quello sonoro con Daniele Maggioli e Senza titolo, sono conquistata, un album completo, che distrugge la banalità e la politica dell’infantilismo, un lavoro maturo, quasi il manifesto del cantautore romagnolo che grazie al cielo mi ha dato una bella lezione sulla brutta abitudine di giudicare al primo ascolto. Ma di parole non ne aggiungo più, ora tocca riascoltare.
(Chiara Manera)