Derivati non è la parola esatta ma è la prima che viene in mente. Derivati dall’autoproduzione; derivati dalle band che a lungo sono state fonte d’ispirazione; derivati dall’indie e dalla sua voglia di evasione. Derivati… che poi non è mica una brutta parola! Questa è la storia del quartetto avellinese, al secolo THE D, che tra una strizzata d’occhio all’indie un ammiccamento al brit pop ed una devozione assoluta per il sound festaiolo da dance floor hanno messo insieme il loro primo EP ALF. Dopo un passato da cover band, di cui si sentono ancora le reminescenze ed aver esordito nel 2012 con il loro primo inedito “The book of Guinnes” (che viene riproposto come ultima traccia dell’ep), finalmente giungono alla loro prima vera “fatica” discografica.
Appena schiaccio il tasto play vengo invaso dalla spumeggiante “First man (almost) on mars”; al di là del titolo un po’ lungo ed impegnativo, per il resto è un tappeto di chitarre leggere, ritmo andante e impossibilità di restare fermi. In questo caso la contaminazione Arctic Monkeys non è neanche troppo nascosta.“D is For Dingo” è invece un incontro di suoni party song, tra The Hives, Wombats, We Are Scientists e chi più ne ha più ne metta! La parte centrale di “Alf” presenta due hit radiofoniche “Man of Clapham” e “Abbot & Costello”, quest’ultima impreziosita da un riff chitarristico rovente ed una voce cupa e rock. L’ep si chiude con la più classica delle ballate rock/acoustic “The Book of Guinnes”, riflessiva sognante e perfetta per chiudere un album fino a questo punto tirato e veloce. Il leit motiv del disco è un “Verse, Chorus, Verse” per dirlo alla Cobain che vive di influenze chiare, Jet, Kasabian, Strokes e Arctic Monkeys.
La speranza è ritrovare la band campana con un vero e proprio LP che sappia scrollarsi di dosso l’accezione ancora viva di Cover band.
(Marco Iannella)