Abituarsi presto a un posto nuovo non significa per forza esserne poi annoiati a morte; l’ambientarsi velocemente, infatti, porta a volte con sé il subitaneo conforto del focolare domestico, l’agio di sentirsi a casa propria. A New Place Soon Old, secondo album del cantautore sardo Andrea Cherchi, in arte WAS, risuona proprio di stanze calde e asciutte, confortevoli ritrovi per amici suonatori, stazioni di sosta lungo percorsi melodiosi diretti al confine tra fiabesco e quotidiano.
Solo da porti così accoglienti può partire una poetica, quella di Cherchi, fatta di sogni bonsai e filastrocche sussurrate, sospesa su una maglia musicale cucita intrecciando alt-folk, low-fi, indie e psichedelia. Il viaggio non è troppo lungo: 27 minuti di acustiche mollemente strimpellate, elettriche sinuose e suoni suonini e suonetti di vario genere a fare da etereo contorno. Cherchi azzecca anche l’adeguata varietà di toni, piazzando in apertura la caracollante “In The Spring” – che piacerà un sacco agli orfani di Sparklehorse – e in chiusura la ninna-nanna “Sleeping Bats”, muovendosi nel mezzo tra la psichedelia sixties di “Alpaca” e il folk distorto di “Cold Song”.
Un buon lavoro questo “A New Place Soon Old”, cantato in inglese in un momento in cui un po’ di Italia indie riesce a muoversi verso l’estero; tuttavia, manca ancora della personalità giusta per imporsi tra l’eccellenza: per quanto non sia il sapore dominante, il retrogusto di derivativo c’è. È là, in fondo alla lingua, appena appena accennato, ma si sente. Il terzo album sarà la prova per perdersi o affermarsi, per dimostrare di essere Andrea Cherchi e non il fantasma di Mark Linkous.
(Francesco Morstabilini)