Spostando certi pregiudizi viene da pensare al dilemma: in che quantità è sopportabile, tollerabile ancora la leggerezza del brit-pop alle soglie di questo nuovo millennio? Il caso dei baresi The Yellow – qui con il bell’esordio LOL-a-bye – allontana ad impatto qualsiasi dubbio o punto di domanda emblematico, il brit-pop al quale la loro creatività fa appello è melodiosamente ottimo, vivo e in gran quantità, praticamente un calcio nei testicoli a chi afferma che il genere è oramai sottofondo per sale d’aspetto odontoiatriche o casse di ipermercati.
Ad onor del vero, oramai poche formazioni underground raccontano la “traduzione sonicamente English” alternativa come questa triade di musicisti, il loro è un mondo epico in cui si muovono figure e approcci mai in crisi d’identità, il loro making of strutturale è un bellissimo pathos continuato di ballate, climax uggiosi e poetica sofferta, con quel move quasi liberatorio, totalmente british frammisto da sogni e paure. Dieci tracce che suonano delicatamente potenti, una modernità sonora ritratta che abdica al tempo, un piacere assoluto all’orecchio che ancora dipinge quella atmosfera da gioventù suburbana e che i The Yellow – in questo lotto – mantengono calda e immaginariamente strafottente di grazia nebbiosa.
Amori, incontri, disillusioni, storie e vite da srotolare chiuse in una valigia sonora che si apre a comando, a seconda di come il cuore vuole, il pianoforte inquieto di “Last steeps”, lontani U2 nelle pulsazioni tenui di “N.I.N.O.”, gli accordi aperti e field che brillacchiano dentro “Comeback”, la sciarada spennata alla Sting (“Summer stars”) o la sofferta impaginazione di “Perfect drug” che EMO-tizza il fondo di un disco che merita di trovare accoglimento tra gli scaffali delle eccellenti proposte e delle colorazioni brillantemente fosche che – in questi anni di riflusso – sono garanzie di autenticità garantite.
(Max Sannella)