I Luminal vincono la targa Mei come miglior gruppo, al Pop Pistoia ricevono il premio, meritatissimo. Dopo che, con le defezioni di Roberto Angelini, Gazebo Penguins e Cosmo impegnati in concerti, soltanto Alessandro Fiori (miglior solista) e Teho Tehardo (miglior album) riescono a regalare qualche brivido, eccoli sul palco del teatro Bolognini, i Luminal: hanno l’aria tra il disorientato e l’arrogante, non guardano mai il pubblico. Si esibiscono con alcuni dei pezzi più sfrontati e migliori dell’album: “Una casa in campagna”, “Lele Mora”, “Giovane musicista italiano, vecchio italiano” (cantata da Alessandra Perna), “Grande madre Russia” e “Donne du du du”, fresca di videoclip. Il batterista Alessandro Commisso è bello come un ussaro mentre pesta imperturbabile, Alessandra Perna è una perfetta dark girl dal trucco colato mentre schitarra il basso verde, e Carlo Martinelli, la voce, si gratta i capelli col microfono che non ne vuol sapere di funzionare finché non si accende e la voce graffia di fastidio. È quel che vogliono, è quello in cui riescono. Ma hanno ragione.
I Luminal si devono essere rotti i coglioni di essere eleganti. Un cambio di formazione che li trasforma in aggressivo trio basso, batteria e voce, e addio metafore. La cattiveria, la verità e la ribellione emergono dirette come un pugno in faccia. “Amatoriale Italia” è un disco inevitabilmente cattivo, perché pesca nelle storie vere della minuscola italietta trash che prolifera tutt’intorno, e le spiaccica sul disco, grottesche come sono, e massacrate di punk-rock come si deve. I Luminal non fanno sconti, e in ben quindici tracce sputano tutto quel che merita essere sputato via. E lo fanno con una nuova attitudine nella musica e nei testi, attitudine grezza per evitare la trappole delle mode ironico-sociali del momento: lì tutti si identificano, qui nessuno vorrebbe identificarsi, e invece bisogna. Per questo sono autentici, disturbanti, lontanissimi da ogni lamento da centrale elettrica e dai vari stati sociali che si sono rotti il cazzo: i Luminal lo vogliono piuttosto rompere il cazzo, e ci riescono benissimo con una visione del mondo lucida e scevra da compromessi, che nella più recente musica indipendente italiana forse si è sentita solo in Unòrsominòre (La Vita Agra) o in Simona Gretchen (Post-Krieg). I Luminal ci danno dentro, sia che si tratti di elencare nomi e cognomi che in politica, nelle cronache e in televisione non sono certo, diciamo, esempi edificanti, o che si tratti di tirare bordate su tutti noi ormai schiavi di facebook, ad arricchire qualcun altro mentre con l’illusione della visibilità si annega nel calderone della massima finzione. E “Lele Mora”? Basta il nome ripetuto per quarantacinque secondi per urlare forte contro quell’italietta amatoriale assurta a modello di consumo che tutte le 15 tracce artigliano e in cui siamo costretti a vivere. E mentre sporcano i suoni e li rendono più grezzi possibile, i Luminal non dimenticano né rinnegano il loro passato: seppure molto sullo sfondo, resta ancora viva la melodia rabbiosa di Canzoni di tattica e disciplina e Io non credo, i lavori precedenti. Ma ogni tentativo di mediazione è caduto: adesso le cantano senza remore, accarezzando il metal e ridicolizzando una società che poi si è già ridicolizzata da sola, e allora non si capisce come mai quasi nessuno gliela canta. Nemmeno Il Teatro degli Orrori, e non venga in mente di accostarci i Luminal solo per qualche recitato. Quella dei Luminal è roba che dovrebbe farci esplodere di consapevolezza, mentre non ci accorgiamo che “esplode il sole sulle nostre esistenze disperate”, e tutti noi torneremo al nostro paesino in una Calabria che è tutto lo Stivale. A Pistoia, nel camerino del teatro Bolognini abbiamo fatto due chiacchiere-fulmine con Alessandra Perna:
Se ti dico che voi Luminal con il Mei c’entrate quanto John Holmes con Peppa Pig, cosa mi rispondi?
“Che funziona tutto al contrario”
Siete stati premiati come miglior gruppo, come l’avete presa?
“Malissimo. Non ci aspettavamo nemmeno di entrare in nomination, figuriamoci di vincere. Però è un riconoscimento, e i riconoscimenti fanno sempre piacere, sono segnali di speranza. Non ci condizionano: siamo così, sia al Mei che nei centri sociali che, se mai fosse, a Sanremo”.
Ah, sarebbe bello sentirvi gridare ‘succhia’ sul palco dell’Ariston. Come presentereste il vostro disco?
“È un’idea semplice. È il ritratto di un Paese che si nasconde nel bagno di casa”.
(David Drago)
Foto: Fanpage di Facebook dei Luminal