Prendete un bel ricordo appeso al rock Novanta, una limpida grattugiata di Negrita (“Conto alla rovescia”,”Labirinto”, “Dylan”) lampi pop-rock quanto basta (“Gioco d’ombra”) e la formula sonora dei palermitani Flac è presto servita, tutta calda e pronta in questo debutto omonimo, un dieci tracce che rischiano di finire – non fatevi ingannare in negativo – tra i gironi ben strutturati della musica come dovrebbe essere, senza quegli accessi convulsi e le introspezioni fragorose che dietro a watt infuocati nascondono spesso – molto spesso – falle incontenibili.
La band siciliana, dietro un’incredibile voce dominante, germina buoni rapporti con lazzi sonori lirici, distorsori e disillusioni, pedaliere e rabbie diffuse, dolcezze e polveri che portano ad immaginare pads d’oltre Manica con territori alternative che – ad affinare bene le orecchie – trasportano vaghi sapori di stampo Karma (“Tortura cinese”); dunque un guardare all’indietro per portarsi passi in avanti, e tutto questo con una naturalezza espressiva e tecnica che ha ragion d’essere in lotti registrati da mainstrean ma che non ci si aspetterebbe mai di trovare a circolare sfrontatamente nell’underground. Elettricità, contaminazioni, chitarrismo fuzzato, tormenti fomentati da una forza d’insieme ottima non fanno altro che incrementare un ascolto ben disposto, un disco spiazzante e “movimentato il giusto” – bello il gioco funk con tanto di basso slappato (“Babilonia”) o le convulsioni prog-rock che fanno grande la traccia numero nove “Fuori controllo”.
La bella Sicilia, da sempre straordinaria palestra di buone cose sonanti, non si smentisce nemmeno in questa occasione, e questa band, i Flac, applicano alla loro musica quell’enfasi e quella incapacità di restare sottotraccia con la forza e la testa di chi la musica non la fa ma la partorisce a sangue.
(Max Sannella)