Dieci stelline.
Scrivere qualcosa di decente su un live dei Monkeys è un’impresa non priva di rischi. La possibilità di apparire scontati è sempre dietro l’angolo, si nasconde dietro le parole ed è pronta a emergere già dalla primissima considerazione. Non voglio essere io l’agnello sacrificale in questa circostanza e cercherò di fare un’analisi lucida di quello che è stato l’unico show italiano programmato dalla band in questa stagione, considerando che gli ex quattro mocciosetti di Sheffield erano già passati dalle nostre parti in estate, da Roma e Ferrara per la precisione. Ora, il punto è questo: gli Arctic Monkeys sono arrivati a Milano in uno dei momenti topici della loro giovane ma comunque ricca e prolifica carriera. Sono arrivati all’ombra della madunnina dopo che AM, il loro quinto album uscito in settembre, li ha certamente consacrati nel gotha del rock mondiale, collocandoli in un posto di assoluto privilegio. Non bisognerebbe nemmeno considerare quei cazzoni dell’NME che avevano sbavato dietro il disco, glorificandolo in preda a facili entusiasmi, come fosse la nuova bibbia del rock’n’roll e tutto questo dopo l’esibizione da Headliner al Glastonbury Fest.
Una nuova era.
AM è un lavoro nuovo e sincero, di una modernità disarmante e con un appeal come pochi. Un certo Josh Homme che dell’album ne è stato testimone prediletto l’ha definito come “un disco sensuale da ascoltare dopo la mezzanotte” e forse, mai definizione fu più appropriata. Senza questa digressione sarebbe risultato molto difficile comprendere il pienone del Forum milanese perché che gli Arctic fossero una potenziale grande band lo si era già capito nel 2006, quando da esordienti avevano venduto in una sola settimana poco più di un milione di copie in tutta la Gran Bretagna. Ma si sa come sono gli inglesi per certe cose, no? Ciò che più colpisce invece, con il senno di poi, è stata l’assoluta capacità di divenire e trasformarsi, arrivare così in alto pur rimanendo giocattolino di pochi e per pochi. La Domino Records non è, infatti, la Sony e i meccanismi di marketing rimangono pur sempre quelli di un’etichetta che è diversa da una major. Sì, gli Arctic Monkeys hanno fatto il botto, possiamo dirlo. Sono arrivati in cima ancora una volta grazie ad una scrittura mai scontata, un sound ricercato, accattivante oltre ad un’immagine tanto lontana da stupidi e facili stereotipi. E sembra strano parlare in questo modo di chi aveva fatto del motto “Don’t believe the hype” un credo di vita.
Dentro al Forum.
Turner e soci guadagnano il palco poco prima delle 21.30, a luci spente sulle note di un’intro epica con il pubblico già caldo. Il set è semplice ed essenziale con un impianto luci che fa splendere una A e una M giganti: AM, potrebbe significare tante cose, da Arctic Monkeys fino a rappresentare il titolo dell’album, ma potrebbe anche stare per “Amplitude Modulation” visto che il sound della band è spaziale e io sono un po’ romantico. L’attacco di “Do I Wanna Know” è, in un certo senso, sconvolgente. È un colpo in pieno stomaco che ricorda a tutti in che razza di situazione ci si trovi. “Brianstorm”, “Dancing Shoes”, “Don’t sit Down ‘Cause I’ve Moved Your Chair” e “Teddy Picker”, stanno lì a rimarcare da dove vengano veramente i Monkeys e subito dopo, in rottura, “Crying Lightning”, a dimostrare il passaggio del gruppo verso l’età adulta. “Fireside” è un tocco di classe prima di “Reckless Serenade” e “Old Yellow Bricks” serve a infiammare le anime del Forum. “Why’d You Only Call Me When You’re High” dal vivo è travolgente con “Arabella” che è già un gran classico, sulle movenze bizzarre e ipnotiche di Mister Turner. Seguono “I Want It All”, brillante ed eseguita poche volte dal vivo, “Pretty Visitors”, “I Bet You Look Good On The Dancefloor”, “Cornerstone” e “Fluorescent Adolescent” per un tuffo nella storia delle scimmie artiche. Prima della conclusione c’è spazio per l’ultimo singolo “One For The Road” e la struggente “I Wanna Be Yours”, da una poesia del poeta punk John Cooper Clarke. Il pubblico raffinato del palazzetto milanese non ne ha mai abbastanza e dopo le invocazioni di rito la band torna sul palco e sciorina tutto d’un fiato “Snap Out Of It”, “Mardy Bum” in versione acustica e “R U Mine” che dal vivo è ancora più bella. Adesso il Forum quasi viene giù, tanti cari saluti e tutti a casa.
Brillantina.
In chiusura vorrei spendere due parole su quel genio di Alex Turner, uno che è capace di tenere in pugno migliaia di persone grazie ai giochi funambolici della sua chitarra e a quella personalità così fuori dal comune. Uno che negli ultimi anni è sempre stato abituato a stare sì sulle copertine dei tanti Rolling Stone ma, da poco, comincia a stare anche su quelle patinate di Vogue. Uno che è passato dall’essere l’antieroe per eccellenza a rockstar planetaria senza neanche accorgersene e, forse, senza neanche volerlo. Ma ci si muove bene il ragazzo nei suoi nuovi mocassini lucidi. Se il tempo presente di questa generazione e di questi giovani deve avere un suono, ha certamente quello degli Arctic Monkeys.
(Gianpaolo Campania)