Si chiama Sciopero, ed è l’esordio del cantautore napoletano Marcello Capozzi, una sequenza di riflessioni bluastre sui sentimenti, la fragilità, l’essere sospesi tra cielo e terra; dieci brani che trovano ispirazione guardandosi dentro, ma anche un disco per cuori malati e ipersensibili, appassionato e indagante come solo un disco “da mezzanotte” può essere.
Intendiamoci non il classico lavoro cantautorale che spalma i peana insormontabili del sentire lontano i clichè del vivere, ma una espressione intima e accorata (dolcemente) che si accosta ad una intesa riflessiva e fragile, un contributo fondamentale ai rapporti mai schiariti dell’esistenzialità o della quotidianità condivisa o meno, una scrittura alternatamente ferma e dondolante che si tende tra pop-wave e chicche elettroniche, poetica rock e colori d’anima quanto umani; dieci tracce che – senza onestamente aggiungere nulla di nuovo al catalogo di penna e spada – comunque suggestionano ottimamente un ascolto interessato, riesce a ritagliarsi un buon metro quadro d’intesa tra stereo e l’assorbimento delle sue messaggistiche liriche/suono, tracce che in qualche modo modificano l’assetto di un tuo minutaggio dedicato a questo lavoro, a questo intricato patrimonio di sensualità nascosta.
Ci sono troppi dischi in giro fatti artisti o presunti tali, persone presuntuose che credono di essere grandi fuoriclasse, ma la verità è che c’è bisogno di veri interpreti di sé stessi, e senza tanti rumors o effetti speciali ecco che dischi come questo di Capozzi va a brillare alla faccia di tanti altri, la spunta – con la sua schiettezza semplice – su prodotti costruiti e plastificati e rimarchiamo, senza inventare nulla, fa il passo avanti laddove qualcun altro ne fa dieci indietro; la wave sintetica “1984”, la ballata increspata “Ettari di eternit”, lo scatto elettrico della titletrack o la pulsione distorta di “Solstizio d’inverno” fino a ritornare al crepuscolo del capolinea, “Scaldare il freddo”, fanno parte del cromatismo organico di questo autore che si affaccia ufficialmente alla discografia di largo spettro, e lo ha fatto con un lavoro che invece di vivere il passato “passato”, lo vive in avanti spogliandolo dal vecchio. Malinconia e toni di qualità. Accattatevillo!!
(Max Sannella)