L’insostenibile pesantezza dell’essere è un libro, anzi, un grande libro, di Milan Kundera, reinterpretandone il titolo a modo nostro che possiamo dire? Che la sottoscritta non ne poteva quasi più di ritrovare nei gruppi esordienti di ora tanta cupezza dalle tinte depressivamente pesanti, è vero, la frivolezza non è mai una nota positiva, nemmeno la superficialità, ma non possiamo nemmeno bandire un suono leggero travolgente e piacevolmente coinvolgente giusto? No, non possiamo ancora arrenderci alla crisi economica ed umana alla quale stiamo andando incontro, come la voglio risolvere? Come ne voglio uscire nel mio piccolo? Ma ascoltando gruppi come i torinesi Outside the Fortress si intende.
Chi abbiamo davanti? Quattro ragazzi torinesi, l’età media deve oscillare intorno ai 20 anni, il massimo può essere 25, e si capisce subito, si capisce dalla freschezza del sound elettro-pop affidato in toto ad un gioco di chitarra davvero ben organizzato, occhio, ci si può sbagliare a riguardo. Ad un primo ascolto dell’ Ep di appena 14 minuti scarsi può sembrare l’ennesimo stampo british alla Blur, no, non ci si deve focalizzare solo sulle note trite e ritrite di un indie ormai abusato e quasi maltrattato, il mio orecchio suggerisce qualcos’altro, suggerisce un po’ di ben calibrata banalità non necessariamente intesa in senso negativo. E vi domanderete, “come si può intendere la banalità positivamente”? Gli si cambiano i connotati, bisogna pensare a cosa vogliamo aspettarci, dopo tanta pseudo versatilità che si realizza il più delle volte nell’uso esagerato del termine “sperimentale” senza dare un filo conduttore, senza studiare strategicamente l’uso della musica in un brano per il semplice gusto di sentirsi alternativi in una realtà poco accogliente, quello che mi aspetto è un suono pulito, semplice e genuino. “Ouverture” è prevedibilmente dal nome l’introduzione, la cornice, insomma il portavoce dell’ep, 1 minuto e ventun secondi scanditi da una chitarra che qui non accompagna ma determina il movimento della traccia, perché l’unico termine veramente azzeccato per ora può essere solo quello, “movimento”. Senza darti il tempo di respirare ecco che si collega automaticamente e senza sosta “Tonight We Disappear” , da notare, non c’è stacco, si potrebbe tranquillamente suonare e cantare tutto d’un fiato proprio perché prolungare la lunghezza dei brani sarebbe un eccesso inutile ed evitabile. Anzi, evitato.
Ma non sono un ipocrita, dal secondo brano in poi subito sbuffo un po’, gli italiani che cantano in inglese con un pronuncia così poco studiata lo ammetto non mi vanno troppo a genio, sicuramente questo tipo di sound non penso si amalgamerebbe troppo bene con la nostra lingua, a questo punto la cosa da fare è una, migliorare la pronuncia del cantate. Terzo brano “Lipstick” è anche il primo singolo estratto, ecco, forse forse qui il debito nei confronti del brit pop alla The Verve in effetti si sente, ma che ci posso fare se il ritmo trascinante mi fa venire voglia di ballare? E, non ci posso fare proprio niente, hanno toccato il mio punto debole perché nel momento in cui uno dei miei arti si muove a tempo sono completamente comprata. Sui testi e il loro spessore non mi pronuncio, perché in effetti lo spessore manca, però d’altronde sono appena all’inizio di questo loro progetto, sono giovani e cantano una lingua straniera, la semplicità delle tracce non dico che sia automatica ma è sicuramente comprensibile.
Quindi, come al solito, ricapitoliamo, siamo di fronte ad un gruppo di ragazzi che riescono a conquistare, il suono è sicuramente ottimo, ed apprezzo la scelta di porre come protagonista indiscussa la chitarra, certo, sono alle prime armi e si sente, ma d’altronde da qualche parte bisogna pur iniziare, e loro hanno trovato quanto meno il sound giusto per farci aspettare con le braccia incrociate.
(Chiara Manera)