Ma quanta indolenza ispirano gli Yuck? A partire da quel loro nome onomatopeico buttato a caso. Mi immagino la riunione dei membri quando è stato deciso: tutti svaccati su divani sporchi, apatici e senza idee quando ecco che uno di loro se ne esce con un singhiozzo alcolico e gli altri in coro “aggiudicato!”. Nome che ben si accosta all’immagine di copertina del loro debutto: uno sgorbio che è lì lì per ficcarsi un dito in gola. E la copertina di questo secondo Glow & Behold è palesemente un disegno bambinesco fatto coi pastelli a cera che nemmeno i genitori più accondiscendenti probabilmente vorrebbero avere attaccato al frigorifero.
Ma soprattutto, in un periodo in cui la foga revivalistica sta un po’ scemando – ciao ciao post-post-post-punk – o quantomeno si sta riconfigurando in forme nuove – vedi il dissotterramento della disco da parte dei Daft Punk o quello del soft rock anni ’80 da parte delle Haim – gli inglesi Yuck sono sfacciatissimi nel loro manierismo pedissequo e per nulla avventuroso nei confronti di vario rock alternativo degli anni ’90, in particolare di stampo americano.
E il problema è che non puoi manco dir loro di no perché sono bbRaVixxIMi nel farlo (e il bimbominkiese rende bene il mio sincero entusiasmo nell’affermare una simile cosa). Suonano da professionisti e riproducono perfettamente gli stilemi di quella musica: il piglio pigro, le distorsioni, la presa-a-bene, la solarità e il canto sgualcito ci sono tutti; così come ci sono gli Archers of Loaf, i Dinosaur Jr., i Superchunk, gli Yo La Tengo e soprattutto i Teenage Fanclub (la title track ricorda a tratti “December”) ma anche un po’ di My Bloody Valentine di cui emulano decentemente il “sound aspirapolvere” che se ci fosse Bilinda Butcher ci cascheresti quasi. Ora: non c’è alcun problema nel fare i revival specie se lo si fa così bene ma in questo caso viene naturale chiedersi quale sia “l’utilità” di un simile revival quando nel 2013 tutte le band sopra elencate sono ancora tutte vive. E attive, per giunta, con risultati spesso più che lusinghieri. Il trucco allora forse è ipotizzare che questo filone musicale che si poteva immaginare caratteristico di una scena ristretta negli anni ’90 – decennio in cui molta roba ha cominciato a puzzare di vecchio già dal giorno dopo in cui è stata pubblicata – sia effettivamente riuscito a trascendere la sua dimensione originale, vuoi perché chi la ha vissuta si sente ancora legato ad essa, vuoi perché indubitabilmente è riuscita ad affascinare anche giovani che in quel periodo a malapena avevano la competenza per farsi il bidè autonomamente. In questa prospettiva gli Yuck sono degli indierockers degli anni ’90 che nel puro spirito di quella musica e della sua indolenza, questa volta “anagrafica”, si sono iscritti al club con vent’anni di ritardo.
E non fa niente perché gli 11 brani di “Glow & Behold” sono delle lucide perle di rock-apatia con tutti i ritornelli al posto giusto da canticchiare svaccati sul divano sporco di patatine dopo aver visto un film di Kevin Smith o Richard Linklater o Cameron Crowe, tipo Mallrats, Dazed and Confused o Singles. Se non avete capito che tipo di musica ci sia qui allora vi mancano le basi: ascoltate tutti quei suddetti gruppi prima magari e leggete recensioni su di loro.
“Ma che recensione pigra!” direte. Ecco, esatto: ringraziate gli Yuck.
P.S.: gli Yuck sono formati in parte da superstiti dei Cajun Dance Party (in particolare l’ex cantante è ora fuoriuscito dagli Yuck, sostituito dall’ex chitarrista), il cui unico, tanto brillante quanto dimenticato, disco del 2008, “The Colorful Life”, è decisamente da recuperare.
(Francesco De Paoli)