Musica come strumento terapeutico dentro la quale ci si sfoga per sentirsi liberi, sollevati, purificati. Succede a chi ascolta ma soprattutto a chi vive di musica, chi imbraccia uno strumento e imprigiona i propri demoni tra le corde di un riff di chitarra o tra i versi di una canzone. Anna Calvi torna a due anni dallo splendido debutto omonimo che in poco tempo è riuscito a far esplodere il talento della musicista di origini italiane, grazie anche alla “sponsorizzazione” di nomi illustri quali Brian Eno che ne ha tessuto le lodi in più di un’occasione.
Già a partire dalla copertina One Breath ci mette di fronte all’esposizione della catarsi di Anna sotto una pioggia mista a lacrime che lava via ciò che di potente e (auto)distruttivo le è piombato addosso nel periodo trascorso tra un disco e l’altro. E inizia senza mezze misure proprio con l’elaborazione di un pesante lutto subito all’interno della sua famiglia, “Suddenly” accarezza con rassegnazione l’idea di qualcosa, e qualcuno, che non tornerà mai più davanti ai nostri occhi “I stand on the edge of silence / Better confess, it tastes like I’m leaving/ Suddenly I’ll leave it all behind”. Non ci si allontana troppo dal porto sicuro su cui la Calvi ha attraccato nel 2011 anzi con “Eliza”, primo singolo del disco, quel marchio di fabbrica ben costruito si fa largo sgomitando riprodotto fedelmente anche in altri episodi, rimandando esteticamente a quella immagine da ballerina di flamenco con camicia rossa, capelli raccolti, pantaloni neri e tacchi alti che rispecchia l’animo passionale contenuto in “Tristan” e “Carry Me Over”, quest’ultima nel refrain ricorda abbraccia addirittura le seducenti movenze di “Suzanne and I” del primo album. Tuttavia Anna non ha paura di osare e sperimentare nuove soluzioni per la musica che le ronza in testa come in “Piece by Piece”, dove beat e basi elettroniche la catapultano metaforicamente a duellare con i Muse (quelli di “Madness” e “Undisclosed Desires”, per capirci) o diventare molestamente garage rock in “Love Of My Life”, durante la quale si infila una parrucca nera a caschetto e un giubbotto di pelle prendendo le sembianze di una piccola Karen O degli Yeah Yeah Yeahs. In “Sing To Me” si infila le mani nel petto ed estrae il suo cuore per donarlo ad una delle sue muse, Maria Callas, adagiandolo ancora pulsante su una base crepuscolare cui nei momenti di calma eterea sembra quasi di vedere la traslucenza melanconica dei Goldfrapp di “Tales Of Us” (“We are in love/We are in love with you/ Sing to us, beautiful one.”).
Agli slanci “sperimentali”, sempre ben controllati e mai fuori del seminato Calviano, si alternano momenti di introspezione vicini allo spirituale: tanto nei cori (“Cry”) quanto nel dna dei brani, come nel caso della title track in cui ci si avvicina delicatamente ad una luminosità sinfonica inedita, grazie anche ad un uso arioso degli archi che rendono “One Breath” la luce calda e sicura che rischiara in una notte senza stelle e senza sonno. Finanche nelle battute conclusive del disco si annusa un’aria fortemente evocativa, pedaliere e distorsioni vengono relegate altrove: “Bleed To Me” con pochi accordi di chitarra e pianoforte costruisce una preghiera gospel (“Bleed to me/ go deeper/deeper /deeper”) mentre in “The Bridge”, se si chiudono per un attimo gli occhi, riusciamo ad immaginarci Anna all’interno di una cattedrale. Una luce forte e rassicurante attraversa i vetri colorati del luogo di culto posandosi sulle spalle della musicista posizionata al centro della sala, la sola voce a riempire lo spazio circostante, attorcigliarsi alle colonne, penetrare nel corpo dei presenti, infondere in essi forza e vulnerabilità per poi svanire in un alito di vento dall’entrata principale.
“One Breath” è un disco di contrasti, un chiaroscuro di sentimenti che scavano più a fondo nel vissuto di Anna Calvi, molto più di quanto fece all’epoca il primo disco. Scritto in meno di un anno e registrato in poche settimane, suggerisce una malcelata urgenza di togliersi dalla cassa toracica un grosso peso, di voler iniziare a guardare la vita con nuovi occhi scacciando via quella serpeggiante depressione che aleggia e si insinua tra le pieghe degli undici brani che viene però spurgata grazie proprio alla medicina-musica, e non è un caso che nella home page del sito della Calvi appaia un paesaggio agreste con grosse nuvole nel cielo azzurro ed un timido ma confortante arcobaleno che spunta da destra. Ancora un’altra volta Anna Calvi ha centrato il nostro petto, infilandosi in quel punto dove sia un grosso dolore che una corroborante gioia ci tengono compagnia nell’arco di un’intera esistenza.
(Antonio Capone)