C’era un tempo in cui esistevano gli alfieri del rock italiano, gruppi ai quali veniva riconosciuto più o meno unanimemente il ruolo di capisaldi della musica alternativa nostrana. Prendiamo gli anni novanta ad esempio: inevitabilmente pensiamo ai Marlene Kuntz, agli Afterhours o ai C.S.I. di Ferretti e compagni. Oggi, invece, si fatica a trovare band che abbiano tale autorevolezza. Accade questo non perché il rock in Italia si sia imbarbarito, semplicemente perché l’era Internet ha sfaldato ogni tipo di riferimento e ha quasi completamente cancellato la possibilità di convergere sul meglio che la scena possa (presumibilmente) rappresentare e, dunque, creare una solida base di condivisione. Chi ricorderemo, ad esempio, di «questi cazzo di anni zero» appena trascorsi? Il Teatro degli Orrori? I Verdena? O magari proprio Vasco Brondi? Da qui in avanti, capire chi conta davvero diventerà sempre più difficile proprio perché è venuta meno l’autorevolezza di chi suggerisce le nuove proposte musicali (discografici, giornalisti, professionisti del settore, semplici appassionati/opinion leader). La rete ha abbattuto le barriere e ha spalmato la fruizione musicale, rendendo del tutto (o quasi) indistinguibili le band di riferimento. Oggi posso valutare cento gruppi al giorno, ascoltando musica qua e là tra le centinaia di piattaforme in streaming, posso confrontare dozzine di webzine musicali o seguire i suggerimenti di amici che postano brani su Facebook… e via così. Assimiliamo nomi, hit del momento, hype che non superano il mese di vita, per poi chiederci: ma chi resisterà alla prova del tempo? La rete è anche questa: una piazza parlante, senza un programma o un ordine di comparsa.
Eppure una parte di me vorrebbe che gli alfieri continuassero ad esistere e il nuovo album dei Marlene non fa altro che alimentare questa mia illusione. Loro sì che hanno ampiamente dimostrato d’aver superato la prova del tempo. Nella tua luce, peraltro, è un ottimo lavoro e vadano anche a farsi fottere i paragoni col passato. Perché? Semplicemente depistano. Non avrà la verve di Catartica o de Il Vile, ma quest’album brilla di luce propria e ha una bellezza forse mai raggiunta prima. Brani come “Il genio (l’importanza di essere Oscar Wilde)” e “Senza rete” (sarà mica la rete di cui parlavamo prima?) dimostrano come nel tempo la band di Cuneo abbia addomesticato le chitarre, senza però perdere la vitalità rock di cui si nutre sin dagli esordi. La poetica di Cristiano Godano resta il valore aggiunto del gruppo, forse più asciutta rispetto ai precedenti lavori, ma proprio per questo ancora più vicina e toccante: “Osja, amore mio” è una gemma che rappresenta il dono di saper trasformare poesia in musica. Gentilezza e bellezza sono le uniche armi in grado di penetrare a fondo l’animo: sono maestri in questo anche quando si tratta d’affrontare temi sensibili come quello delle donne vittime di stalking (“Adele”) o quando si tratta di raccontare la solitudine di chi ha perso tutto (“Catastrofe”). Quello che più convince è la maturità e la finezza della scrittura, come appare evidente in “Seduzione” e ne “La tua giornata magnifica”, brani che hanno la capacità di creare un dialogo diretto e profondo con l’ascoltatore. Solo in fondo troviamo “Solstizio”, brano per il quale è stato girato il videoclip che ha anticipato l’uscita dell’album (pubblicato proprio il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate) e che, per la sua immediatezza, forse sarebbe stato più logico inserire nelle prime posizioni della tracklist.
Si tratta quindi di un grande ritorno? Io credo che i Marlene Kuntz non se ne siano mai andati. Semplicemente quest’album ha qualcosa in più rispetto agli ultimissimi lavori, come abbiamo provato a spiegare. Concedete il giusto tempo all’ascolto e riconoscerete la qualità e l’importanza di questa band.
(Salvatore Piccione)