The Wows sono un quintetto veronese attivo dal 2008; questo è il loro primo omonimo lavoro, anticipato da un EP contenente tre delle nove tracce dell’album completo. Nonostante la brevità (circa 33 minuti) del disco, il sound tipicamente indie della band riesce a incidere e interessare, grazie ai riff nervosi e all’alternarsi di parti incalzanti e passaggi soft.
Facciamo la conoscenza di Paolo Bertaiola (voce), Marco Bressanelli (chitarra), Matteo Baldi (chitarra), Fabio Orlandi (batteria) e Pierluca Esposito (basso) con “Bah Habit”, che apre il disco: rullata di batteria e attacco incalzante; il basso trasporta perfettamente la strofa e il cantato mentre le chitarre tacciono, per poi entrare in gioco con riff mordenti e suoni acidi. In terza posizione troviamo “Harlot’s House”: cinque minuti di suoni soft, che creano un rilassamento rispetto all’incipit dell’album, con una batteria che non sovrasta le chitarre, ma che sostiene solidamente il pezzo. Nella parte finale il pezzo si ferma per poi esplodere in un’ultima parte con chitarre distorte, senza per questo perdere la delicatezza che la distingue da gran parte delle altre tracce. “Thinking of Business” ci riporta alla caratteristica principale di questo prodotto: la tensione. Questa sensazione pervade per intero i 3:40 minuti della canzone, sia nella parte iniziale, molto nervosa e rapida, con brusche ripartenze, che nella seconda, dove i suoni eterei di una chitarra rallentano il flusso di note dando contemporaneamente la sensazione il che pezzo possa esplodere da un momento all’altro. Spostandoci in coda alla tracklist, troviamo “You Are The Target Market”, dove è fondamentale, come in vari altri punti del disco, l’ossatura solida e semplice che il basso riesce a dare, sia che le seicorde accompagnino, sia che tacciano. Il pezzo crea un climax attraverso dei continui crescendo, che si sciolgono infine nei ritornelli, molto orecchiabili. “Walls”, che chiude il tutto, è forse la traccia più anomala: si apre con chitarre ed echi quasi pinkfloydiani (come anche il titolo, in fondo) per rivelarsi uno dei pezzi meglio riusciti del disco. Ritmica e voce sono costantemente accompagnate da note distanti di una chitarra con suono delicato ed efficace che poi sfociano in un suggestivo quanto semplice assolo che conduce verso l’ultimo ritornello e verso la conclusione dell’ascolto.
Tirando le fila del discorso, ha validi pro e anche qualche contro. L’insieme intrattiene e coinvolge; è suonato bene e riesce ad essere vario e sempre simile a sé stesso, però lo più, e quando non lo fa, si rivela ottimo comunque, come con il già citato assolo di “Walls”. L’unica cosa che mi sento di criticare è legata a questo aspetto, infatti c’è il rischio che ai primi ascolti alcune parti di pezzi diversi risultino molto simili, anche se questo, bisogna dire, dipende in parte anche dal genere musicale suonato.
(Alessandro Dati)