Una chitarra fresca e leggera, ritmata ma non veloce che apre con “Dall’America con amore” e che sembra fare il verso a quella di “Can’t stand me now” dei Libertines: ecco il biglietto da visita di questo disco di esordio (discografico, dopo un paio di autoproduzioni per la verità) di un ragazzo, all’anagrafe Riccardo Piazza, che a quanto pare ha già abbastanza chiara la dimensione in cui si sta muovendo, da dove viene e dove arrivare con le sue attitudini stilistiche da vero e proprio, per l’appunto, cantastorie (“Il cantautorato/ intellettuale/ lo stesso cinismo che è proprio di un animale/ sono quelle cose che non ho”).
Con Storyteller ci regala proprio un esempio di cantautorato che ricorda vagamente i primi Baustelle, ma meno citazionisti e intellettuali, vicino anche a un Samuele Bersani più impostato e meno esistenziale. Un disco che scorre come una chiacchierata con un amico non rivedi da anni e rincontri casualmente per strada, in cui si parla di come ingannare e superare la lontananza dagli affetti nella traccia di apertura, la visione della città diversa dal mondo da cui vieni (“Farfalle nel metrò”), piccole divergenze di comunicazione nella coppia (“Ti lascerò parlare”), insomma temi comuni a molti, cantati seguendo facilmente la tradizione del cantautorato italiano forse a tratti un po’ didattico ma comunque ben fatta, scanzonata e senza spocchia, soprattutto nella prima parte dell’album.
Nella seconda metà gli arrangiamenti si fanno più ricchi, i testi più astratti e le melodie più malinconiche, sempre mantenendo la struttura cantautorale e lasciando percepire quelli che potrebbero essere elementi interessanti da sviluppare in futuro. Affascinante il passaggio dal languore dell’attacco al ritmo incalzante del ritornello in “Il mattino non ha l’oro in bocca” anche se potrebbe sembrare un’esplorazione un po’ ingenua e superficiale delle due situazioni. Lontanamente altezzosa (anche un po’ saccente, su) arriva “Preda degli eventi”, ma sapiente e in fin dei conti capace di apparire come proveniente da un personaggio in qualche modo autorevole. Poi si chiude con “Fatti di parole” che sembra rubata a Badly Drawn Boy un po’ come quelle cover di classici fatte in italiano, un po’ d’altri tempi.
In sostanza un buon lavoro, a tratti leggermente incoerente ma comunque interessante, e Vuoto Apparente si presenta come un artista che ha il pregio del saper fare come un artista navigato ma senza tirarsela troppo e senza prendersi troppo sul serio. Senz’altro da tenere d’occhio, nella speranza che questi piccoli affacci fuori dagli schemi più classici possano essere approfonditi in maniera più audace.
(Carla Di Lallo)