Che poi, questa costante angoscia che la maggior parte dei prodotti musicali di oggi spiattellano ai nostri poveri timpani per giustificare la crisi economica e spirituale a cui andiamo incontro andrà esaurendosi, vero? Lo Spazio dell’Assenza album del duetto brindisino registrato nel 2012 e pubblicato a d Aprile dell’anno successivo, senza leggerne la biografia, senza leggere la presentazione che ci hanno mandato, isolandoli esclusivamente nella loro musica, cosa cogliamo?
Mi esprimerò con il nome del loro brano centrale “Bonjours Tristesse” e non penso di dire nulla di nuovo a chi l’ha composto, ma non bisogna essere sempre così disordinati e caotici nella vita, avanti, cerchiamo il mio famoso filo rosso nell’album, cerchiamo qualcosa che unisca le canzoni o anche qualcosa che le divida, cerchiamo qualcosa più che altro che valga la pena di essere cercato. È una produzione composta da nove brani, si comincia con “Me terah” e già apprezzo qualcosa che balena subito, ossia l’uso di un italiano ben sillabato, anzi scandito al rallentatore, la chitarra di Giuseppe Argentiero accompagna la melanconica voce di Mina Carlucci, che vagamente ricorda una Valentina Gravili fusa con Maria Antonietta, un bel prodottino niente da dire. Il livello di allegria è assai limitato, l’amore è il grande protagonista della scena, e non sto parlando di un tenero e gioioso amore, o almeno non solo di lui, da quello che colgo al volo sembra più quella struggente voglia d’amore che è più melanconico dolore che sentimento in sé e per sè, con “Lontano da me” sento una varietà di strumenti che riempie un po’ un vuoto leggero dei testi, un flauto traverso delizioso che balla insieme ad un sax. Nel frattempo “Lo spazio dell’Assenza” cresce con “I miei occhi” e non lo nego più ormai, i testi non esaltano, sento l’ennesimo dubbio esistenziale riguardo ad un sentimento mal espresso, occhio, non dico che il contenuto non ci sia, le canzoni assumono la forma più che altro di contenitori aperti che fanno perdere l’essenza a causa di una copertina scarmigliata, ed è un peccato, perché musicalmente più li ascolto e più riescono a far breccia nel mio timpano. Ma i testi mi irritano un tantino. “Come marea”, ed ora sono arrivata alla conclusione che davvero tutte le nove tracce sono esclusivamente concentrate su un unico argomento, e non alle molteplici sfaccettature di un sentimento, no siamo sempre concentrati in quell’angoscia che per osmosi sto cominciando a contagiare anche me, grazie al cielo c’è quella chitarra e quel violino che riescono a deconcentrarmi sul testo per focalizzarmi sul sound. “Bonjour tristesse”, non apprezzo il francese e con lei nemmeno “Le neant scintillant” non ne apprezzo più che altro la terribile melanconia che ne viene fuori, ed ora non voglio essere fraintesa, non sono così bigotta e superficiale da rifiutare la “tristesse” , dei Vostok apprezzo terribilmente lo studio musicale che si avverte ascoltando anche le successive “Lacryma” e “Jerusalem”, adoro questa sperimentazione all’interno di un panorama musicale che ha quasi quasi dimenticato, più per sbaglio che per volontà, suoni eterei come quelli del folk jazz, ed in questo caso non penso di esagerare nel trovare in questo duetto brindisino una nuova sfaccettatura della musica contemporanea, una nuova fusione fra sonorità indie e blues, un felice e bel matrimonio multi-musicale che però non lega bene con i testi in questione.
Manca quel legante fra parola e musica che permetterebbe al gruppo di creare qualcosa non solo di nuovo ma anche di completo, e non sono un’ingrata, il brano che più spicca su nove tracce è senza dubbio l’ultimo, “Komet 42” e i motivi mi sembrano evidenti, qui non ci sono parole che rovinano la perfetta armonia fra la musica e lo strumento che la crea.
(Chiara Manera)