Il regista David Lynch non può stare in panciolle e godere della fama che gli tributa la scena cinematografica mondiale, odia non ricalibrare le altre infinite passioni che costantemente (spesso) implementa come preso da una foga espressiva che non si risparmia in nulla, niente; quello che ora prospetta è il nuovo e ottavo album (se comprese le colonne sonore griffate con Angelo Badalamenti) Big Dream registrato a Los Angeles con il fido Dean Hurley – musicista ed ingegnere del suo da tempo in compagnia dell’artista americano – e la risulta all’ascolto è di un album sullo stile “maledetto”, pieno zeppo di oscurità e con un forte interessamento all’elettronica messa al servizio della musica in cui mescola – con dovizia di particolari – blues, rock e proclami passati come in vocoder o più verosimilmente cantati col roco e nasale linguaggio Dylaniano.
Un disco – dodici tracce – che senza scalmanare istinti goliardici o patire una foga d’assalto, si ascolta tutto sommato con interesse, tracce che si ricompongono in una personalissima visione di Lynch di quello che la notte può dare se ascoltata nelle sue derivazioni pure, e sebbene non ci siano brani che colpiscono come cecchini di prim’ordine rimane tuttavia una tracklist che azzarda e rimane a galla come una sperimentazione, un vizio virtuoso di un film maker di tutto rispetto che ingloba tutto e diventa performance con molti punti di fuga. Mettendo un asterisco sulla rivisitazione di “The ballad of Hollis Brown” di Dylaniana memoria, la formula Lynchiana del disco cita atmosfere dub e ipnotiche come la titletrack, i Massive Attack nelle circolarità di “Star dream girl”, “Say it”, “I want you”, un Tom Waits senza alcool tra le mani (“Cold wins blowin”) fino all’eco delle rimembranze che avvolge la bella “Are you sure”, ballata che si fa preghiera assoluta e inno in sottovoce per un amore lontano, irraggiungibile; si, a fino tutto il disco lascia qualcosa dentro, non c’è quella sufficiente performance egregia ma dal respiro corto, ovvio nessuna rivoluzione in corso, ma comunque una second life di un artista che fa di tutto pur di fare quello che gli piace di più e se il suo mestiere di regista è quello che preferiamo, mettere per un pò gli orecchi qui dentro, se proprio non ci illuminerà di sicuro male non ci farà.
(Max Sannella)