In una delle sue bizzarre affermazioni, ma il signore in questione poteva permettersi certe esternazioni, Salvador Dalì se ne uscì dicendo “Io non assumo droghe. Io sono le droghe”. E a vedere i suoi splendidi dipinti come si fa a dargli torto. Ma cosa c’entra il baffuto artista spagnolo, ispiratore di tanti hipster o pseudo tali con i suoi baffi dalle punte anti-gravitazionali, ed il concerto dei Suuns tenutosi Martedì 16 all’Hana Bi di Marina di Ravenna? Ovviamente le droghe. Quelle che mancavano fisicamente per ovvi motivi di legalità ma sostituite senza dipendenza alcuna dalla metanfetamina sonica, intrisa di atmosfere surreali del combo canadese, bravi a ipnotizzarti per circa un’ora, come ipnotizzati ed incantati si resta nel guardare una delle opere del Maestro delle arti pittoriche di origine spagnola (e tiriamolo di nuovo in mezzo vista la sua citazione in apertura).
La setlist oscilla in modo equo tra i brani dell’ultimo “Images du Futur” ed il debut album del 2010 “Zeroes QC”, giocandosi nelle battute iniziali la carta “2020”, il singolo punta di diamante, anzi di cristallo (siamo pur sempre in drugs mode-on), e davanti gli occhi di chi lo ha visto si palesano le immagini del video omonimo piene di effettacci optical, buoni a far schiumare un epilettico. Poi a ruota, ed in ordine sparso, suonano “Minor Work”, “Arena”, “Bambi”, “Pie IX”, “Edle’s Dream”, “PVC”, “Mirror Mirror,” “Organ Blues” pochissimi nel pubblico riescono a star fermi alle ossessive geometrie costruite dai 4 canadesi, in grado di muoversi tra momenti prettamente kraut ad altri in cui si avvicinavano alle formule math dei Battles risultando però più viscerali rispetto a questi ultimi, e se proprio c’è qualcuno immobile è perché o era morto o era sordo. I pezzi dei due album trasformano l’Hana Bi in una discoteca a cielo aperto dove nessuno dei musicisti sul palco si risparmia, uno su tutti il batterista Liam O’Neill, i cui movimenti ritmici e sussultori facevano ipotizzare ad un tappetino di aghi da fachiro posizionato sullo sgabellino su cui poggiava il deretano. Unica pecca, se proprio devo trovarne una così da non fare la parte dell’incensatore tout-court, è stato il cantato di Ben Shemie, troppo impastato nell’acustica generale e spesso troppo flebile, sovrastato sia dalla sua chitarra che dagli strumenti dei suoi compagni. Finale striminzito con un bis piccino picciò, un solo brano e poi grazie a tutti, chi s’è visto s’è visto, godetevi l’happy hour.
Il concerto dei Suuns conferma il talento racchiuso nei due album pubblicati che in veste live resta immutato se non addirittura più convincente e coinvolgente delle studio-version. E poi sai che la prossima volta che li vedrai dal vivo non dovrai procurarti un additivo chimico da ingurgitare, perchè alla robbba ci pensano loro, la robbba, quella buona, la suonano loro.
(Antonio Capone)
Foto: AnnaB.