Dieci tracce arricchite al polonio viscerale di un punk grungeatico che risuona, sbrindella e dannatamente piace, quelle contenute nel secondo e nuovissimo album Turn Off Fake Reality dei veneti Mr. Boonekamp, quartetto di ottimissime qualità d’impatto, sbracati quanto ci pare e attivi in quella insubordinazione maestosa di chitarre fuzzy, voce alcolica e una matassa di ritmiche malate, che creano irresistibili accelerazioni e scatti nervosi che ne fanno un importante motivo per lasciare perdere qualsiasi altro ascolto per tuffarsi a volo d’angelo dentro i woofer stereo e pogare in maniera invalidante.
Giunti al secondo album della loro carriera, i Mr. Boonekamp tornano a consacrare un “regime” – quello del punk ibrido (“Problems”), la bella “Couple of bitches”, “Reality” – che frutta un ascolto ben piazzato e reinnestato nella moderna audience underground, un groove – con nella linea vocale qualche e più debito verso Cobain dei Nirvana (“Splatters”), – che esplode ininterrottamente, con un budget sostanzioso di distorsioni e tripudi di ritmiche forsennate che addentano tutto e tutti e che rianimano in modo considerevole una scena nazionale a suo modo in coma se non addirittura morta; dieci traccianti rosso fuoco che monopolizzano una scaletta altamente infiammabile, tutto e “mosso e ribelle”, niente è nello stato di calma, un disco che se fosse uscito negli anni Settanta dei bollori generazionali avrebbe segnato pelle e orecchi a più di uno ma che comunque anche calato in questi anni opachi fa la sua bella e porca figura.
La parentesi Rock’n’roll ubriaca e billyeas “Tremors”, la carica all’assalto di “Carmageddon” e l’ancheggiante LouReediana “Jeremy the stalker” portano le atmosfere di questo lavoro ad illuminarsi di ancor più di grande, come se proponesse edizioni in surplus e deluxe, ma rimane di fondo quella/questa pregevole prova storta e maledettamente “sbavata” che i nostri Mr.Boonekamp ci donano al pari di un delirio, una occasione virtuale – cosa rarissima – come di essere tornati nei tempi d’oro e di vomito in un Fillmore East di New York negli anni ruggenti del rock. Ma quello vero né!!
(Max Sannella)