È tornato, è di nuovo tra noi, Tricky e il suo sound cupo e ballabile, elettronico e industriale, lunare e magnetico, il trip-hop (per quanto, a definirlo solo così lo trovo sinceramente riduttivo) e i ritmi pressanti. Non so se questi aggettivi bastano a descrivere l’impatto di di False Idols, un disco concreto e compiuto, che sembra ricomporre la magia degli esordi (l’indimenticabile “Maxinquaye”) e la totalità di “Knowle West Boy”, datato 2008, due tra le migliori produzioni del Nostro, a mio giudizio.
Su tutti spicca “Nothing Matters”, una ballata romanticamente Trickyana, con voce femminile suadente che si mescola puntualmente con la morbidezza dei suoni, a seguire un’ipnotica “Valentine”, a distorcere un Chet Baker d’annata, rivisto e corretto con intelligenza, dove la profondità di uno dei jazzisti più talentuosi e maudit di tutti i tempi riemerge con un sound da nuovo millennio. La corposità della sezione ritmica la fa da padrone e Tricky si impone proponendo uno stile che da sempre lo contraddistingue, languido e perforante (fa sua “Parenthesis” dei The Antlers), melodico e incessante (“Nothing Changed”), misterioso e delicato (“If I Only Knew”).
Basterebbero le due parole che hanno segnato il suo esordio musicale (quei Massive Attack ormai divenuti una pietra miliare nel panorama musicale, capaci di travalicare qualsiasi etichetta di genere) a renderlo un soggetto da tenere costantemente d’occhio ma, dopo alcuni lavori acerbi, possiamo finalmente affermare che il diamante grezzo si sta trasformando in un gioiello prezioso, da custodire gelosamente e da godere appieno, in tutta la sua luce.
(Patrizia Lazzari)