Le zolle della formazione in questione sono forgiate in un orgiastico intrico di doom, claustrofobie e tutti quei stordenti momenti che si affollano tra buio pesto e lucido stupore, tracce che come Wilkinson recidono cromatismi, vene e surreali cadenze indiavolate, tracce che gli Zolle, Stefano batteria/xilofono e Marcello (Lan MoRkObOt) alla chitarra, qui coadiuvati dal sintetizzatore di Urlo degli Ufomammut e Roberto Rizzo degli Quasiviri/Runi, masticano, divorano e risputano come ossessi nel processo di un cannibalismo distorto e amplificato, tra il tribale e gli spettri della Belo Horizonte dei Cavalera brothers, una densissima antropofagia di ritmi e unghiate hard-stoner che incutono rispetto e paura.
Disco totemico e murato che scartavetra i timpani, ma che mette in evidenza anche un certo limite alla sua sistematica voracità d’intento, un raggio d’azione belligerante ma che alla corta distanza risulta vuoto di “innesti”, privo di quell’alternanza che possa all’ascolto avvincere nel suo delirio vigile, una tracklist che senza fare tanti panegirici è solida ma tutta uguale, non si differenzia se non nei cambi ritmi o nelle accelerazioni d’impeto, ma il “sulfureo” comunque non fa un cm in più del dovuto. Un’operazione che per chi ama il genere è manna nera che cade dall’inferno, e tuttavia l’alchimia che sprigiona è ben sostenuta da una batteria in rame e chitarre registrate con un amplificatore datato anni Cinquanta che arrivano poi all’orecchio sotto forma di una compressione diabolica, e tutto il bailamme che si agita intorno e che infetta anime candide e spirito puri, risucchia come una lingua trash ogni resistenza a non farsi prendere in ostaggio da questo disco bestialmente plumbeo, horrorifico; significati oscuri e legati alla terra – quella che calpestiamo – che spiazzano, i graffi pesanti di “Trakthor”, “Leequame”, la deriva heavy di “Mayale”, il doom grave che spiaccica “Heavy letam” o il bombato esplosivo estremamente innescato di “MoongiTruce”, sono solo assaggi di un disco d’impatto che è in fondo un campo minato tremendo, ma a suo modo, reincarnante, resta solamente da vedere cosa ne rimarrà nel tempo – o magari no – di queste zolle lacerate.
(Max Sannella)