I californiani Rival Sons sono una delle band di punta del panorama rock mondiale del momento ed il loro concerto allo storico New Age Club di Roncade (TV) è il primo in Italia del tour europeo 2013, a supporto dell’ultimo splendido disco, Head Down. Arrivo in anticipo con due amici e respiro subito l’atmosfera Seventies dell’evento: musica rock d’annata fa da sottofondo al chiacchiericcio del già nutrito pubblico del giovedì sera trevigiano. Tra la folla si intravedono i tipi di persone più disparate: il metallaro duro e puro, il ragazzetto che è lì perché mamma gli ha dato il permesso, la coppia di cinquantenni che nel cuore hanno ancora il rock’n’roll, l’ubriaco trascinato lì dalla morosa, padre e figlio di qualche paese straniero un po’ spaesati, ma carichi come una molla. L’età media è relativamente alta: di capelloni se ne vedono davvero pochi, se non sulle transenne davanti al palco occupate immediatamente da adolescenti, che si scambiano opinioni sulla strumentazione della band e tengono il ritmo ad ogni canzone di sottofondo.
Alle 21.30, puntuali come ci si aspetta da dei canadesi, salgono sul palco The Balconies. Il quartetto, capitanato dalla carismatica (e bellissima) Jacquie, raccoglie sotto il palco i pochi, che ancora stavano pensando a bersi la loro birra, con un rock bello carico che nei primi pezzi ricorda gli AC/DC. Col passare dei minuti, però, dopo aver ammirato ancora una volta l’avvenenza della frontwoman di Toronto, inizio a sperare che finiscano in fretta. Dopo i primi tre pezzi la band ripropone sempre la stessa minestra e tra il pubblico inizia a serpeggiare l’attesa per gli headliner della serata. The Balconies si concedano, dunque, senza lode né infamia.
Alle 22.30, dopo i lunghi riti del cambio strumentazione conditi dai soliti fonici che ci mettono mezz’ora a
fare quello che chiunque farebbe in cinque minuti, il palco viene inondato di fumo. Un sibilo parte dalle casse, il pubblico si stringe sotto il palco, i ragazzini stanno zitti per un secondo, ai veterani brillano gli occhi come fossero ad un concerto dei Led Zeppelin ed, infine, eccoli sul palco: i Rival Sons. Un boato squarcia l’atmosfera tesa pre-concerto e si parte con “You Want To”, uno dei pezzi più energici del repertorio, tratto da Head Down. Il pubblico esplode: i capelloni fanno headbanding, i cinquantenni tengono il tempo e tutti viviamo un momento di puro godimento. Purtroppo, fin da subito, un manipolo di fighetti ubriachi inizia a ciarlare sotto il palco interrompendo ogni momento di silenzio tra un verso e l’altro. L’atmosfera è, comunque, davvero magica. Gli assoli di Scott Holiday sono incredibilmente carichi di tensione e di sentimento; la voce di Jay Buchanan ha dell’incredibile: fa vibrare non solo i timpani, ma anche l’anima degli spettatori, grazie ad un’interpretazione dei pezzi unica nel suo genere. Il cantante californiano ha una dote straordinaria, ormai quasi assente nei gruppi moderni. Ha il gran pregio di sentire quello che canta dentro di sé e di farlo arrivare al pubblico senza artifici o moine da rockstar. La performance si tramuta da mero concerto ad un trasferimento di emozioni dalla band al pubblico in un turbinio di note, urla, applausi e lacrime. La sezione ritmica, infine, non perde un colpo ed, anzi, svolge il ruolo fondamentale di architrave su tutte le canzoni.
I membri della band, non si dimostrano soltanto dei grandissimi artisti, ma anche delle persone molte carismatiche e poco inclini a farsi prendere per i fondelli, mentre stanno dando un pezzo di sé al pubblico. Infatti, all’ennesima presa in giro da parte dei soliti sfigati facinorosi che gridavano: “Come on pussies!” alla band condendo il tutto con vari insulti omofobi, il batterista Mike Miley ha risposto con un secco: “Are you talking about your mom’s pussy?!”. Grande! I pezzi più spettacolari sono stati, a parer mio, “Gypsy Heart”, le super hit “Keep On Swinging” e “Pressure and Time”. I momenti più intensi e davvero emozionanti li ho vissuti con il trittico “Until the Sun Comes”, “Jordan” e “Manifest Destiny, Part 1” e con la sentita e commovente “Face of Light”. Il concerto si è chiuso con due pezzi da paura: “Burn Down Los Angeles” e il super blues, “Soul”, che pareva non finire mai, per la gioia di tutti i presenti!
Chi c’era al New Age si dovrà ricordare in eterno che i Rival Sons hanno donato a tutti un concerto immenso, dal sapore di altri tempi, scaricando un bagaglio di emozioni e di intensità inimitabile e irripetibile. Senza paura, senza timore, senza nessuna maschera. Questo concerto è stato semplicemente solo tutto quello che dev’essere il ROCK’N’ROLL!
(Aaron Giazzon)