La rimodulazione di line-up, Jodi Pedrali e Samuele Ghidotti, ai quali si affiancano Marco Fasolo (che ne è anche il producer) e Fabio Dalè, fa dei bergamaschi Venua una formazione decisamente “fuori mercato” nel senso che si possono assaporare tutti i lieti ritorni di sonorità classicamente anni sessanta, quelle infinitesimali provocazioni sottopelle che qui, nel secondo disco di carriera Blah blah blah, ritornano a trionfare e luccicare con quella giusta dose di contrasto cromatico che dona all’ascolto inebriato la notevolezza di una balera su un lungomare acceso.
Sembrano incisioni estrapolate dal mito d’oro di lontane Durium, Carosello, Arista, Fonit Cetra, sensazioni e modelli espressivi effervescenti che si pregiano di un pop vintage che fa molto effetto, quelle belle stimolazioni alla Ricky Gianco, Meccia, Bruni ma anche con risvolti odierni che rovistano delicatamente tra i bagagli sonori di Black Keys, tutte atmosfere che una volta fuse insieme argomentano una stupenda “vita vissuta” epidermicamente, evocando sogni, turbamenti e visioni romantiche; dieci attitudini in perfetto equilibrio tra ieri ed oggi, un ammiccamento condiviso da docili ballatine, guizzi intimi e fughe proto-beat (“Lei dice ormai”, “9 Settembre”, “Se vuoi devi”), e i ricordi tornano a colonizzare angoli mentali assopiti da cui riemergono il Vianello da bagnasciuga e uacciuveriuà (“Sunday”).
Disco onnicolore, sempre teso su melodiche autenticamente retrò e poderoso come un arcobaleno senza tempo, un liquore sonico e psichedelico in certi dettagli “A presto” che sintetizza un eccellente momento d’ascolto, fuori da urgenze e nel giro appassionato degli amarcord, un pop d’autore inimitabile e sognante, con la bocca amara di chi ha assaporato anche pezzi di vita calata a metà.
(Max Sannella)