Basterebbe ascoltare poche note degli How To Destroy Angels, dal loro esordio del 2010, per individuare immediatamente il braccio e la mente di Trent Reznor dei Nine Inch Nails. Questo tanto per dire che il sound è inconfondibile e anche i meno appassionati della nota industrial band americana ne riconoscerebbero la matrice in maniera netta. Della nuova creatura reznoriana fanno parte la moglie e altri due fidi musicisti (Mariqueen Maandig, Atticus Ross e Rob Sheridan). Preceduto da due EP (uno omonimo e il secondo intitolato “Omen”), ecco ora un album vero e proprio.
Mi autodenuncio subito: sono da sempre una grande ammiratrice del lavoro di Reznor, dalla Band che lo ha reso noto alle colonne sonore alle quali si sta dedicando ultimamente. Il suo stile è ormai riconoscibile ma di certo ha avviato un genere unico, fondendo rumori e suoni con mirabile intensità. Però questo album non aggiunge e non toglie nulla alla sua produzione, sembra un giocattolino col quale il pur mirabile Trent si diletta nella pause tra i lavori più “importanti”, ma non vi è traccia di sperimentazione o di ricerca di sonorità nuove, siamo alla riproposizione del sound che lo ha portato alla ribalta, con qualche momento un po’ più “stanco” che conferma, in un certo senso, la sensazione di divertissement del nostro. La direzione è già tracciata e la voce femminile non apporta vibrazioni particolari. Certo, ci sono dei picchi come “Too late, all gone” o “Strings and Attractors” che mantengono ciò che promettono ma, per il resto, è un disco in più per i fan, un disco non necessario per quanti cercano proposte inedite nel panorama musicale.
Complessivamente un prodotto ben confezionato, ma da un artista complesso e cerebrale come Reznor ci si aspetta sempre e comunque qualcosa di più.
(Patrizia Lazzari)