Se ti fai chiamare Mr. E, possiede una barba invidiabile e nella tua quasi ventennale carriera hai sfornato gemme di rock lo-fi contaminato con folk, psichedelica e blues, tra le più ispirate che il canzoniere americano contemporaneo ricordi, è chiaro che l’aspettativa ad ogni tuo nuovo lavoro non può che crescere esponenzialmente.
Ecco perché rimane un po’ l’amaro in bocca quando, dopo aver fatto girare dall’inizio alla fine questo Wonderful, Glorious, ci si rende conto che, nonostante il livello sia sempre ben sopra la media, mancano i momenti realmente indimenticabili. La scaletta alterna, come da tradizione, brani più sporchi e distorti a ballate malinconiche, ma sono i primi soprattutto a far trasparire un certo calo di ispirazione. Pezzi costruiti su riff tipici, a volte anche buoni, ma che mancano di quel tocco in più che li faccia andare oltre il “mestiere”. Attenzione, non stiamo parlando di un brutto disco, neanche di un disco mediocre. Qui siamo in un mondo, quello di Mark Oliver Everett, dove la mediocrità non ha accesso, probabilmente proprio non esiste. Però è indubbio che fra echi del Waits di “Bone Machine” (l’iniziale ottima “Bombs Away”), i fantasmi dei lavori passati (“Electro-shock blues”, come sempre, in primis), qualche traccia del presente a stelle e strisce (i Black Keys, su tutti, nei fuzz di “Peach Blossom” e “Kinda Fuzzy”) e dei classici del passato (la title-track che sa di Stones, ma si apre anche a divagazioni sintetiche), sembra più complicato del solito scovare brani in grado di durare nel tempo e di entrare nel pantheon della produzione targata EELS.
Questa convinzione vacilla però a metà scaletta quando, grazie a un pezzo come “The Turnaround”, ci si rende conto di quanto Mr. E sia ancora capace di arrivare allo stomaco nei momenti di vera ispirazione. In definitiva un album che giganteggia tra le uscite recenti, ma difficilmente resterà fra gli indimenticabili nella discografia della band.
(Federico Anelli)