Gli Atoms for Peace sono un supergruppo, formatosi nel 2009 per supportare Thom Yorke, leader dei Radiohead, nel suo primo disco solista, The Eraser. Alla fine del tour, nel 2010, il gruppo si ritrova per tre giorni di jam session le cui registrazioni sono state poi curate nel corso dei successivi due anni dallo stesso Yorke e da Nigel Godrich, ingegnere del suono e produttore di tutti gli album dei Radiohead da Ok Computer in poi. In un’intervista a Rolling Stone, Thom ha detto di aver voluto far suonare da musicisti la musica che aveva prodotto elettronicamente, tranne alcune parti, ma facendo in modo che nel disco non fosse evidente dove finisce l’umano e inizia l’elettronico. Ecco la formazione del supergruppo: Thom Yorke (voce, tastiere, programmazione, chitarre, pianoforte), Flea (basso), Nigel Godrich (programmazione, produzione), Mauro Refosco (percussioni) e Joey Waronker (batteria).
Per i più sarà sicuramente arcinoto, oltre a Yorke anche Flea, bassista dei Red Hot Chili Peppers con alle spalle già numerosissime collaborazioni; poi abbiamo il già nominato Nigel Godrich, Mauro Refosco, percussionista brasiliano che ha collaborato tra il 2011 e il 2013 con i Red Hot Chili Peppers ed infine Joey Waronker che ha alle spalle varie collaborazioni tra cui Beck e R.E.M.. Lo stile del disco è particolare, infatti presenta il suddetto intrecciarsi tra elettronica e parti pensate al computer e suonate da musicisti e tutto ciò si mescola con l’ampio spazio lasciato alle percussioni di Mauro Refosco, come si può subito notare, infatti il pezzo di apertura, “Before Your Very Eyes…”, è dotato di una forte ritmicità, coadiuvata dalla chitarra, ma prodotta per lo più dalle percussioni; ampio è anche l’impiego di tastiere ed effetti, com’è tipico dello stile di Yorke e altrettanto nel suo tipico stile è il cantato, con note lunghe e toni a tratti soffusi, a tratti onirici. “Default”, traccia numero due, è un altro ottimo esempio di come percussioni, ritmo ed elettronica si fondano in modo interessante per poi essere attraversate da un velo di tastiera e da un cantato, appunto, sognante. La sperimentazione e la sovrapposizione delle percussioni all’elettronica, a volte per intere tracce, a volte a tratti, con brevi ed incisivi interventi, caratterizzano sostanzialmente tutte le tracce, ma a mio parere giungendo a metà della tracklist troviamo un più ampio utilizzo delle tastiere e di alcuni cori, come per esempio in “Dropped”. “Stuck Together Pieces” è di nuovo una traccia movimentata, con tastiere lente, ma una batteria effettata molto incalzante; la title track, “Amok”, che chiude il disco, torna nuovamente ad un ritmo movimentato e ad un cantato onirico che per ampi stralci non interviene, per esempio per l’ampio tratto iniziale del pezzo, lasciando le redini agli strumenti.
In definitiva il disco è un buon prodotto, tipicamente in stile Yorke, che rischia, a mio parere, di sembrare ripetitivo ad un primo ascolto, ma risulta coinvolgente in seguito grazie a sonorità globalmente belle e, come ho detto più volte ormai, all’interessante, ma soprattutto determinante presenza delle percussioni etniche.
(Alessandro Dati)