Se, e onestamente lo è, la copertina è un inno al cattivo gusto, quello che si plasma dentro il nuovo disco del Tenebroso Satanasso Nick Cave e dei suoi Bad Seeds Push the sky away è un’orgia di movenze, melodie, nerofumi e offlyng – forse la consueta – ma che già di se stessa definisce un gran bel ritorno e ancor già da considerarsi nel consesso di una identità divinatoria quanto splendida.
“Dig!!! Lazarus Dig!!!”, aveva forse lasciato l’amaro in bocca del capolavoro fallito o mancato di poco, Blixa Bargeld e Mick Harvey se ne sono andati per altri lidi, i Grinderman una felice parentesi e quel “White Lunar” condiviso con Warren Ellis un bel ricordo, ora Cave (al suo quindicesimo album), il cantautore australiano del buio, l’allampanato poeta della fascinazione nera si riavvicina stilisticamente nei frangenti di uno dei suoi molteplici poemi riusciti, “Batman’s Call”, e si riappropria del suo mondo capovolto fatto di ballate, feticismi, maledizioni e solchi segnati indelebilmente da paure interne e fulgori melodici diafani, emaciati, di sangue pesto. Disco come sempre sul filo dell’eterna malinconia laconica e dai nervi stupendamente tesi e che ci riconsegna un Cave doppiamente disilluso e indagante, magistralmente operante nel profondo delle cose e delle verità nascoste, una tracklist oleata o meglio unta di dolcezze malate che si fanno poesia nel finale come un “e vissero felici e contenti” che non obbligatoriamente significa il lieto fine delle cose, ma solamente un rimando, un posticipare ad un domani liturgico il proprio essere sconfinatamente “cantante irrisolto”, indissolubilmente maledetto; ascoltando queste tracce l’attenzione si ferma su tutto, nella Hassle Street lurida e ambigua di un Lou Reed sanguinante (“Jubilee street”, “Wide lovely”), la murder ballade di prassi (“Water’s edge”), il jack nevrotico che trema in “We real cool” e anticipa il blues roco e d’alito al Bourbon (“Higgs boson blues”) per arrivare pieni di polvere e allucinazioni tra le tasche dell’immaginazione alla titletrack che tira le somme su questo disco immacolatamente vizioso e debordante di presagi color ruggine.
Come sempre grande personalità, suggestioni dark e mai un riempitivo, leggermente un pelino sotto la media della sua arte e lo spettro di una notte mozzafiato sempre scattante a far valere la sua in quantificabile classe. Satanasso Cave è tornato, si salvi chi può, ma tanto nessuno alzerebbe un muscolo.
(Max Sannella)