È un disco d’amore questo Lysandre, primo passo in solitaria di Christopher Owens, ex Girls e personaggio ben in vista nella scena psich-pop alternativa, un disco che si ascolta per tutta la sua lunghezza e per l’approccio ricco di sfumature poppyes che tendono a tenere le redini di tanta varietà messa in bella mostra; eppure è un prodotto che sulla corta distanza si dimentica in un battibaleno, passa, si slega nei suoi suoni e poi si dilegua per fare spazio ad altro nonostante sia un lavoro piacevole e tenero, ma che si apparta negli affollatissimi pertugi di centinaia di prodotti similari.
Un concept di ballatine e armonie svezzate nella solitudine, una donna che si materializza e che fa incendiare il cuore nonché riempire liriche tenui e passionali, piccoli arcobaleni tra l’imbronciato e l’empatico che si susseguono in fila come in un gioco di rimandi e specchi; rimangono dentro – se confrontato con i dischi registrati con la band originale – le schizzatine anni sessanta e settanta, quei piccoli uncini radiofonici ma che da soli non bastano certamente per approfondire un “altro discorso” musicale personale, e Owens si ritrova senza una linea ben precisa, un tutto sul fuoco che si ascolta ma che non stacca dalle produzioni medie sebbene la produzione del genio di Doug Boehm.
Niente a che vedere con le straordinarie elucubrazioni del passato Girls, ma nemmeno un prodotto derivativo o forzato ad assomigliargli, qualche riferimento qua e la a stereotipi folk easy (“Here we go”, “A broken heart”, “Everywhere you knew”), una corsetta nel pop + pop che si possa evitare (nonostante ottimi sollazzi di sax) “New York City”, un Leo Sayer che si materializza dal nulla (“Love is in the ear of the listenear”) e il lento caracollare con il cuore in mano ed innamorato come una trottola in stato confusionale “Lysandre” e “Part of me (Lysandre’s epilogue)”; l’artista americano forse non tiene conto delle asperità e le difficoltà di un progetto sonoro che tarda – addirittura – svincola a stare almeno più di un ascolto in testa, ma ogni mercato a i suoi sacrificali, qui, per quanto riguarda l’ascolto critico, oltre la piacevolezza di un pugno di minuti, niente altro è pervenuto. Spesso “troppo amore” non fa concludere niente.
(Max Sannella)