Per scrivere dell’ultimo disco dei Tre Allegri Ragazzi Morti bisogna prima di tutto mettere in parole l’abitudine, l’affetto, la fiducia incrollabile nei confronti del gruppo che più o meno chiunque stia leggendo sono sicuro condivide. Li conosciamo da sempre, dai quando noi avevamo quindici anni e loro erano considerati un gruppo punk, e neppure la temuta svolta etnica dei ritmi in levare ha impedito a “Primitivi dal futuro” di suonarci per mesi nelle orecchie. Merito di molte cose, della personalità con la quale i TARM trattano nuovi linguaggi e suoni, ma soprattutto della irrinunciabile poetica toffoliana dell’eterno adolescente che sta alla base anche del nuovo album.
E sarà quindi per questo che “I cacciatori” è il brano che più cattura al primo ascolto di Nel giardino dei fantasmi: familiare fin da subito ed un protagonista, un cadavere quindicenne da quasi vent’anni, nel cui specchiarsi e riconoscersi senza farsi troppo male. Ma “Nel giardino dei fantasmi” è più che altro il disco con cui i TARM riprendono il percorso etnico già battuto e ufficialmente intrapreso due anni fa, smorzando solo leggermente le forti influenze caraibiche e africane all’interno del loro suono. E così “Come mi guardi tu” e “Il nuovo ordine” (brani senza un vero ritornello, e non sono i soli) sembrano entrambe ispirate dai ritmi dei Tinariwen e “La fine del giorno” è un blues avvolto in un misticismo che sa piuttosto di Africa sub-sahariana, mentre “Alle anime perse” è una toccante storia, di amore e assenze, dal cuore interamente giamaicano. Altre anime più tradizionali sopravvivono però nel giardino dei fantasmi: quella folk, nelle filastrocche commoventi e surreali tanto care ai TARM (“Bene che sia”, “E poi si canta”) o nella ritmata “Bugiardo” in stile Violent Femmes (Toffolo anticipò in un’intervista che avrebbero collaborato proprio con Brian Ritchie, bassista della band americana, poi non se n’ fatto nulla, ndr), e quella rock’n’roll in “La via di casa”, dove rabbia e disagio sono ancora raccontati nella maniera del tutto unica del trio di Pordenone. Quel che rimane sono le ballate tenerissime che ti aspetti da ogni disco dei Tre Allegri e che non hanno mai deluso. “La mia vita senza te” è già un classico e la conclusiva “Di che cosa parla veramente una canzone” è invece un morbido tranello nel quale proverò a non cadere.
“Nel giardino dei fantasmi” è il settimo ispiratissimo album dei TARM e il gruppo non mostra segnali di stanchezza, ma questa è solo l’ennesima prova di ciò che sapevamo già. Ancora una volta il continuo rinnovamento nella forma, che lascia invariata la sostanza di pura poesia, fa di loro un punto di riferimento per tanti gruppi. Per queste ed altre ragioni il nostro affetto per i TARM è sempre intatto e la fiducia in loro sempre più incrollabile.
(Alberto Mazzanti)