Il giovane musicista parigino che corrisponde al nome di Yan Wagner da alle stampe in questo ultimo scorcio di 2012 il suo esordio sulla lunga distanza, Forty Eight Hours, confezionando un prodotto sicuramente à la page – per rimanere in tema francofono – ma che presenta anche qualche novità degna di nota, tale da giustificare di per sé la recensione che vi apprestate a leggere.
Lo diciamo subito, le coordinate musicali di Wagner sono quelle a cavallo tra l’electro (revival) anni ’80 e la sempre troppo vituperata new wave, ma qui gli elementi sonori sono ben misurati ed il pastiche che ne viene fuori è messo ottimamente a fuoco e risulta coerente qui ed ora, anno di grazia duemilaedodici. La produzione del disco è patinata ma anche di sostanza, certosina nel ricreare i suoni minimal electro contemporanei che vengono “sporcati” con la tipica effettistica “eighties” (in alcuni episodi in odore di funk). L’elemento aggiuntivo che abbiamo trovato irresistibile – e che sicuramente da spessore al disco – è la voce del nostro, presente nella maggioranza dei brani, e che si muove su territori da “crooner” americano, tanto da far (s)parlare la critica internazionale che addita Wagner definendolo “dance floor crooner”. La definizione ci sembra ad ogni modo esagerata, ma sicuramente l’idea che evoca è affascinante e potrebbe portare Yan Wagner a ritagliarsi una nicchia significativa nel caso in cui decida di caratterizzare maggiormente questa tendenza cantautorale che si erge su tappeti musicali prettamente elettronici.
Per ora ci troviamo nelle cuffie delle canzoni che potrebbero rimandare agli ultimi LCD Soundsystem (e non è poco), ma considerate le competenze sia tecniche che vocali del giovane produttore e gli spunti serviti sul piatto per questo debutto, potremmo trovarci di qui a poco un disco davvero “nuovo”, pur mutuando ritmiche e metodi di composizione tipiche di un passato musicale ingombrante (non si esce vivi dagli anni ’80 cit.).
(Maurizio Narciso)