Nessun dubbio, i Veracrash sono un ottimo prodotto made in Italy. Con questo nuovo, secondo full lenght My Brother the Godhead, hanno davvero fatto centro esplorando numerose sonorità per lo più fortemente stoner dal gusto amaro e tagliente contaminate dal gelo invernale delle lande svedesi, nazione nella quale hanno prodotto il tutto insieme a Niklas Kallgren dei Truckfighters.
I Veracrash hanno indubbiamente ingabbiato la loro dimensione sonora risultando potenzialmente interessanti, arricchendosi con tempi dilatati contrapposti a velocizzazioni piene e graffianti, aggiungendo momenti quasi doom di freddezza nordica a scatti di vera e propria ira alla Queen of the Stone Age tarantolati, come in “A Blowjob from Yaldabaoth”, dove già dal primo minuto i calci in faccia sono assicurati. Altro pezzo velocissimo e violento è “Kali Maa”, primo singolo estratto a mio parere spettacolare, con un ritornello che ti si conficca in testa come la pallottola di una calibro 38, dove la voce di Francesco è intensa e intelligente, riempie e si innalza sui riff di chitarra. Un punto grande a loro favore è proprio questa voce particolare che ha il potere di essere stupendamente adattata anche in altre vesti in pezzi come quello che dà il titolo all’album, “My Brother the Godhead”, dove viene trattata con una distorsione piuttosto sinistra che da quel tono robusto a tutto il brano. Il songwriting è in generale tutto splendidamente costruito, come viene dimostrato in “Exit Damnation”, interamente strumentale, una cavalcata invernale di basso e batteria in un crocevia di chitarre voluminose e al tatto così vellutate di rock.
Sono questi i gruppi che con pochi colpi decisi e ben assestati lasciano segni piacevoli e gratificanti, “My Brother the Godhead” è un disco immediato e appagante come il sesso migliore che avresti mai fatto, no compromise.
(Tiziana Salomoni)